La regina degli acufeni. Ipertesto

di Maria Teresa Rovitto

© Simona Salerno

Una cosa chiamata silenzio

di Maria Teresa Rovitto

Il teatro e le arti performative del contemporaneo sono caratterizzati dall’erosione dell’egemonia del lògos e dall’emersione di aspetti extra-linguistici e para-linguistici che hanno conquistato la scena. Una tendenza che, quand’anche non rappresenti un nuovo paradigma, in quanto la continuità sostanziale del dramma non è in discussione, permette di valorizzare le componenti pulsionali e presemantiche della condizione umana, attinenti alla sfera visiva e acustica. Grazie alla penetrazione di spazi virtuali, interattivi, rumori, giochi di luce, video-arte, prodotti artificiali e tecnologici, esibizione di carne, di protesi, si assiste alla crisi della dominanza logocentrica fino ad arrivare, negli esempi più radicali della teatralità contemporanea, alla indiscussa prevalenza dell’aspetto iconico, estetico o sonoro, rispetto alla struttura verbale del testo e alla sua funzione narrativa vocata all’ordine e al controllo della realtà. Destabilizzato il piano razionale su cui si edifica il sistema della parola, si recupera l’ampio spettro di sonorità inascoltate e inesplorate. 

Quando partecipiamo a un evento nel quale la fabula è scomposta (o addirittura assente), la presenza della voce, ad esempio, può svolgere la funzione di suono, di rumore, di atmosfera, non più destinata a esprimere sensi e significati tramite il linguaggio ordinario.

La scena ci offre la possibilità di fare esperienza dell’unicità di voce dell’esistenza che prescinde da ogni interferenza semantica, permettendo a un pubblico più vasto di accedere a una dimensione extra-ordinaria, alla quale in passato, e come ancora oggi accade presso alcune civiltà, si entrava attraverso precise ritualità codificate. 

Nell’ambito di questa ricerca, alcuni performer hanno lavorato sul contatto con i suoni prodotti dalla sfera corporea. Lo stesso udito ha il suo referente in una voce che viene a sua volta da altri cunicoli carnali – bocca, gola, cavità polmonari –; quello tra emissione vocalica e percezione acustica è un gioco che allude agli organi interni, al corpo profondo. L’udito percepisce anche i suoni provenienti dall’interno del corpo: circolatori, digestivi, respiratori, muscolari, ossei. Si stabilisce una corrispondenza tra l’esterno, l’anteriore e la vista, e l’interno, il posteriore e l’udito, corrispondenza che in certi casi diventa identità e aiuta a costruire un rapporto intimo  con noi stessi.

Nella performance Inside-Out (2011), eseguita all’Università di Brighton da André Borges, risultato di due anni di ricerca sul suono all’interno di una struttura sanitaria, condotti mentre lavorava come addetto alle pulizie presso il Royal Alexandra Children’s Hospital, l’artista riflette sul fatto che, a eccezione di infermieri e di medici che hanno la possibilità di ascoltarli per lavoro attraverso la strumentazione diagnostica, i suoni del corpo umano vengono raramente percepiti, analizzati e esplorati. Decide di diffondere all’esterno quelli del suo corpo attraverso un ingegnoso impianto fonico costituito da diversi microfoni e stetoscopi che registrano il cuore, i polmoni e il sistema digestivo; una volta catturati, questi suoni vengono poi trasportati a un impianto di amplificazione, altoparlanti e microcontrollori, un sistema PA. Durante la performance, che è possibile guardare in rete, i segnali audio del battito cardiaco controllano l’intensità di due lampadine, mentre i segnali dei suoni respiratori avviano diversi motori CC e strumenti musicali, come percussioni e arpe, che si fondono insieme ai suoni di radice corporea. Le luci diventano, ad esempio, l’unico referente del suono del battito cardiaco. Utilizzando tecniche di respirazione, quest’ultimo può essere accelerato e rallentato. L’aria che alimenta il sangue risuona anche durante il transito dal naso ai polmoni e ritorno. I suoni viscerali, al contrario, sono molto difficili da prevedere o controllare. Eppure i borborigmi possono ancora essere stimolati. Ad esempio, si verifica un aumento delle attività intestinali quando ci sentiamo affamati. L’azione performativa dà vita a un nuovo paesaggio sonoro.

Intervistato, Borges dice che nella vita quotidiana urbana contemporanea, già coperta dai rumori, generalmente dimentichiamo che il nostro corpo suona1.

Insieme alle ricerche in campo teatrale, anche le tradizioni musicali occidentali hanno lavorato a un recupero del suono, distinguendolo dalla musica, essendo il primo non strutturato, e la seconda strutturata, uniformata e presentata con sequenze armoniche. Alla fine del ventesimo secolo artisti d’avanguardia come Harry Partch, John Cage, Heiner Goebbels e Pamela Z, il Dada, il Fluxus, si sono mostrati sempre più interessati a incorporare suoni meno regolari nella composizione musicale. 

Come noto, uno degli esperimenti condotti da Cage in questa direzione fu proprio quello realizzato all’interno di una camera anecoica. L’artista racconta l’aneddoto di quando si recò per le sue ricerche in una camera anecoica dell’università di Harvard. In quella stanza, dove tutte le superfici sono ricoperte da materiale fonoassorbente, udì due suoni, uno alto e uno basso. Pensò a un guasto e così domandò al tecnico di servizio perché aveva udito due suoni. L’uomo gli chiese di descriverli e alla fine rispose: «Il suono alto era il suo sistema nervoso in funzione, quello basso il suo sangue in circolazione». 

Cage concluse che non esiste una cosa chiamata silenzio. 

  1. https://emergencyindex.com/projects/2011/170-171 ↩︎

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