La teoria dei colori. Ipertesto

di Livia Del Gaudio

© Mariadonata Villa

L’angolo rosso

di Livia Del Gaudio

Nel primo allestimento in cui compare Quadrato nero su fondo bianco la tela è collocata in alto, nell’angolo a destra della sala, quello in cui convergono due pareti laterali e il soffitto. La scelta, apparentemente poco opportuna (perché così in alto? Perché inclinato?), non è frutto del caso: è stato lo stesso Kazimir Malevič, autore dell’opera, a predisporre ogni dettaglio dell’esposizione, Ultima mostra futurista «0,10».

È il 1915, la città è Pietrogrado; sono questi gli anni in cui molti si contendono la paternità della pittura astratta, sulla quale alla fine avrà la meglio un altro russo, Vasilij Kandinskij, che sbaraglia gli avversari con un trucco degno di Rasputin: retrodatare Primo acquerello astratto al 1910. La Russia, si sa, è una terra violenta, i suoi pittori non fanno eccezione. D’altra parte, neppure Malevič è un santo.

Nato a Kiev il 23 febbraio del 1879, si è occupato un po’ di tutto, dall’insegnamento all’urbanistica, ma è nelle mani della pittura che affida la sua sorte. Individualista, poco incline allo spirito di squadra, si avvicina ai futuristi con l’idea di decretarne la fine. Nei due anni che precedono la mostra ha viaggiato al seguito della compagnia teatrale di Matjušin e Kručënych disegnando i costumi e le scenografie di Vittoria sul Sole, ed è lì che ha fatto una scoperta che ci riporta al punto da cui siamo partiti, ovvero all’angolo in alto a destra di una sala dell’Art Bureau, proprietà della gallerista russa Nadezhda Dobychina, al primo piano di un palazzo di Pietrogrado.

Nelle foto d’epoca si distingue un parquet e una elaborata cornice in gesso. Sulle pareti sono esposte composizioni geometriche accompagnate da didascalie in cirillico, affidate a semplici fogli di carta dai bordi strappati. L’unico indizio dell’immagine che Malevič ha in testa è una sedia che, per quanto Thonet, richiama il minimalismo delle case dei poveri: nell’abitazione tradizionale ortodossa l’angolo in alto a destra è detto angolo rosso o angolo bello, ed è il posto riservato all’icona. Tramite tra la terra e il cielo, raffigurazione sacra del divino, l’icona protegge la casa e i suoi abitanti. È all’icona che l’uomo guarda in cerca di una guida.

Figura geometrica assente in natura, il quadrato è sintesi e simbolo della razionalità umana: il quadrato vince sul sole, decreta l’eclissi di ogni sistema naturale, si sostituisce al volto di Dio. Per questo Malevič ne fa il punto zero della sua nuova pittura e lo mette nel luogo che ogni russo da sempre assegna a Cristo. Da questo punto in poi il pittore si mette al servizio di una visione suprematista dell’arte e della vita che segnerà la sua esistenza e quella di un mondo che, con l’avvento del nazismo, farà dell’eclissi il suo orizzonte.

Ironia della sorte: a causa dei rapporti intessuti con gli artisti tedeschi, Malevič verrà arrestato nel 1930. Una volta scarcerato ritornerà all’attività di pittore che proseguirà fino alla morte, avvenuta nel 1935. Sulle sue tele alla purezza del quadrato si sostituirà la narrazione: scene di vita agricola, ritratti, volti di una Russia rurale mai veramente perduta. Imposizione del regime, certo, ma forse anche preghiera: una volta caduta l’illusione di un mondo controllato dall’uomo non resta che tornare all’angolo rosso davanti al quale ogni contadino si inginocchia per affidare a Dio il sogno della propria esistenza.

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