Alias O. Ipertesto

di Claudia Conte

© Tommaso Donato

Gli ordini sono ordini

di Claudia Conte

«Togliti la cintura,» le dice, «e anche le mutandine». Questo è facile, basta passarsi le mani dietro la schiena e sollevarsi un po ‘. Egli prende dalle sue mani la cintura e le mutande, apre la borsetta e ve le rinchiude, poi dice: «Non devi star seduta sulla sottoveste e sulla gonna, devi sollevarle e sederti direttamente sul sedile». Il sedile è in finta pelle, scivoloso e freddo, mette i brividi sentirselo aderire alle cosce. Poi le dice: «Adesso rimettiti i guanti».

Così inizia Histoire d’O di Pauline Réage e mi chiedo perché in tutte le storie della buonanotte per bambine e bambole non ho trovato nessuna versione per quelle tristi, sfacciate e attaccate al parere e al potere altrui. Non sarebbe più facile raccontare fiabe cucite oltre la noia, solo per mantenersi in vita? Da leggere in posa fetale quando persino le ginocchia sbucciate sono stufe di decidere?

Gli ordini sono ordini, come nell’omonimo film tratto da Moravia con Monica Vitti. Il subconscio evade ma poi si richiude nuovamente in un’altra prigione, ricomincia il conteggio dei giorni sulle pareti. Le sad girl moderne erotizzano il dolore, fanno le brave bambine e si lasciano la possibilità di ribellarsi.

Quando ci è stato chiesto se in un bosco avremmo preferito incontrare un orso o un uomo, non sapevamo come rispondere. L’uomo e l’orso sono la stessa cosa, o meglio, non vediamo questa grande differenza: se scappo mi puoi fare male, se resto mi puoi fare male lo stesso. Forse ogni racconto che parla di donne e potere finisce così: nel bosco, davanti a qualcosa che non ha più bisogno di comandare per farsi temere.

L’orso non ci ha ordinato né proibito nulla, né accavallare le gambe né accostare le ginocchia. Ci lascia senza storia della buonanotte, a erotizzare la paura tutte sole. E nel silenzio capiamo che non serve essere carine per essere punite.

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