Alta marea

di Anahí Flores

© Alessandra Stabile

Rita si sveglia con il suono della voce di sua figlia che farfuglia dalla stanza accanto. Lascia, vado io, dice a Fabiano, immaginandolo sollevare la testa nell’oscurità. Scendendo dal letto si incastra nella zanzariera. Sente le onde del mare a pochi metri dalla baita, ricorda che non sono a casa. Cammina con le braccia in avanti tastando l’umidità marina nell’aria. C’è una zanzara vicino, agita le mani per scacciarla e inciampa su una sedia che sbatte contro il muro.

Quel pomeriggio Rita era in piedi sulla riva e le onde coprivano e scoprivano i suoi piedi come a volerli verniciare. Affondò lentamente rimanendo sepolta fino alle caviglie. Dopo un po’ spostò i piedi e li osservò con attenzione, voleva vedere se apparivano diversi dopo essere stati inghiottiti dall’acqua e dalla sabbia.

La piccola adesso urla sillabe sconnesse. Rita fa fatica a capirla quando parla nel sonno. Mamma sta arrivando, dice. Nel dirigersi verso la stanza di sua figlia si ritrova di spalle al mare. Mentre scaccia un’altra zanzara, o forse la stessa, pensa che in questa prima notte sull’isola avrebbero dovuto dormire tutti e tre nel lettone. Si sarebbe evitata il risveglio a quest’ora. Entra nella stanza al buio, cerca di ricordare lo scenario. Lo ricostruisce alla cieca: a sinistra la cassettiera, in fondo il letto, forse. Sua figlia ha smesso di parlare, probabilmente non si è nemmeno svegliata.

© Alessandra Stabile

Avanza con le mani in avanti come una sonnambula. Vicino al letto sbatte il piede contro qualcosa di morbido. Fa un passo indietro, immagina un insetto grande quanto un cucciolo di foca. Riconosce il respiro di sua figlia che dorme. Si accovaccia tastando la zanzariera che scivola verso il pavimento. La piccola è intrappolata tra il letto e il tulle, come un pesce in una rete.

Solleva il tulle. Gli occhi sono assuefatti al buio. Riconosce la piccola sagoma seduta sul pavimento. Sei caduta dal letto, le dice, consapevole che a quest’ora le parole non avranno alcun effetto. Le sposta i boccoli che le cadono sugli occhi. La afferra con l’intenzione di rimetterla a letto. Si accorge che la pelle delle piccole braccia è ruvida, forse per la giornata trascorsa al sole. È quasi certa di averle spalmato della crema idratante dopo il bagno ma annusandola non sente il profumo. Si alza con la bambina in braccio e si china sul letto per stenderla. Prima di posarla la bambina si stringe a lei come un polpo.

Questa non è mia figlia, dice Rita ad alta voce. Se ne pente immediatamente, spera che nessuno l’abbia sentita. Si sistema con la bambina in braccio cercando di allentare la tensione di quelle braccia attorno al collo. D’impulso la lascerebbe cadere nello stesso punto in cui l’ha trovata ma mollarla così non servirebbe, la bambina rimarrebbe appesa come una collana di piombo. Le viene in mente l’immagine di una cesta di vimini con dentro un orfano sull’uscio di una chiesa. L’indomani non racconterà nulla di tutto questo a Fabiano. Non riconosce così tanta forza in sua figlia. Pur toccando quel corpo che conosce a memoria non riesce a scrollarsi il dubbio di dosso. E poi questa insolita freddezza sulla pelle della bambina, come fosse appena uscita dall’acqua. Vorrebbe accendere il lume ma si trattiene.

© Alessandra Stabile

Torna nella sua stanza con la bambina in braccio. Nonostante le pareti della baita la separino dall’esterno, ha l’impressione di essere sulla riva. Sente l’odore del mare, la marea è salita. Sua figlia le sembra più leggera, come se stesse camminando con l’acqua fino al petto e la bambina galleggiasse tra le sue braccia. Rimarrebbe lì con lei, cullandosi in acqua fino ad addormentarsi come due gemelle nel grembo materno ma continua a camminare. Sbatte di nuovo contro la sedia su cui era inciampata. Una zanzara le ronza vicino al mento. Affonda il viso tra i boccoli della bambina. I capelli profumano di alghe.

Raggiunge il lettone. Solleva la zanzariera con una mano, con l’altro braccio appoggia la bambina sulle lenzuola. Cerca di sollevare il busto ma è avvinghiata a sua figlia come una conchiglia su uno scoglio in fondo al mare. Fa forza e la tira via, crede di sentire un “plop”. La bambina rotola sul letto verso il padre. Vorrebbe che Fabiano desse un segnale invece continua a dormire e si lascia abbracciare.

© Alessandra Stabile

Finalmente con le braccia libere Rita pensa che forse ha esagerato, la testa all’alba fa cose che non dovrebbe fare. Come ha potuto confondere quei boccoli che ama così tanto con delle alghe? Ha voglia di abbracciarli entrambi ma teme di svegliarli. Sente prurito a un ginocchio, è una zanzara. Si sistema rapidamente sotto il tulle. Seduta sul letto, ormai tranquilla, si gratta il ginocchio. Nota che dalle dita vien fuori sabbia, una sabbia fine, quasi polvere.

Sulla spiaggia le onde si infrangono più forti di prima, come se volessero metterla in guardia da qualcosa.

Il racconto originale, in spagnolo, pubblicato il 20 settembre 2020, può essere letto su Revista Muu, a questo link: https://revistamuu.com/2020/09/20/anahi-flores/ Il racconto è inoltre incluso nella raccolta “Criaturas” pubblicato da Alto Pogo nel 2018.

Anahí Flores è nata a Buenos Aires nel 1977. È autrice di diverse raccolte di racconti tra cui Lo más natural del mundo (2019) e Criaturas (2018). Ha inoltre pubblicato diversi libri di poesia. In Por encima del agua (2023) analizza l’iniziale superficialità di un incontro e il desiderio, a volte assente, di immergerci nella profondità dell’altro e di noi stessi. Oggi vive nella città di Florida (Argentina) con sua figlia e la sua gatta.

Se il mondo ci appare come qualcosa di già dato, la fotografa Alessandra Stabile con i suoi lavori vuole portarlo a espressione seguendo un movimento che va dalla esperienza indistinta di un inizio a una forma, fino a modificarne la densità e la qualità dell’oscurità percepita. È un gesto compiuto dentro l’atmosfera di paesaggi marittimi che sembrano prescindere da tempi o luoghi specifici, in quei periodi in cui la superficie è calma e dissolve lentamente le correnti che fluttuano senza alcuna proiezione terrestre, respirate dalla luce, lungo gli spazi dimessi della costa: la fotografia si fa estensione di un pensiero. In alcuni giorni, come negli scatti di Stabile, la linea d’orizzonte rappresenta invece la discontinuità, nella composizione immaginaria così come nella realizzazione delle cose. Soggetti materiali e immateriali appaiono ugualmente incorporei nel tempo di durata variabile dello sguardo: non sembrano muoversi sotto il sole marino, ma dentro un’aria di sale che li sospende un attimo prima della sensazione da mare aperto.

Maria Teresa Rovitto

Alessandra Stabile nasce in Basilicata, studia lettere e filosofia all’Università La Sapienza di Roma e vive diversi in Francia dove studia Filologia moderna. Si avvicina alla fotografia casualmente e da autodidatta prediligendo le cose e i luoghi al soggetto animato. La letteratura, in particolare la poesia del Novecento, resta la prima e la più grande passione a cui la fotografia, il più delle volte, fa da esergo.

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