di Aurora Dell’Oro

© Dalia Guerguache
«Quando cammino per strada, mi accorgo di camminare, mi accorgo del passo, se ho davvero bisogno di accelerare o no, se con la mente sono già nel luogo dove sto andando o se riesco a gustare ogni passo. Mi accorgo delle distrazioni e delle attenzioni necessarie, mi accorgo dei commenti inutili nei riguardi dei passanti o di quello che mi circonda, mi accorgo se mi sgrido, anziché semplicemente notare, mi accorgo che anziché abolire i commenti posso trasformarli in attimi di compassione, prima di tutto verso di me che non tengo a casa il cuore, che critico tutti per non sentire me stessa, e poi verso gli altri che non sanno di me o che fanno lo stesso lavoro di spadaccini smemorati nei miei confronti.
Cammino per sapere dove andare. Spero di incontrarmi presto. In ogni passo.1»
Quando cammino per strada, sogno l’altrove. Mi disturba la puzza dei gas di scarico, la sporcizia sui marciapiedi, l’odore acre dell’urina. Il caldo riflesso dall’asfalto e l’assenza di pioggia. Quando cammino per strada, cammino infastidita dai rumori, dalle occhiate, dal contatto occasionale con chi non ha occhi per vedere.
L’adolescente ingabbiata tra le scapole è un elemento vestigiale della psiche, ma non ha perso del tutto le sue funzioni. E allora cammino anche per separare le sue insofferenze dalle mie, che sono meno intense e meno impegnative. Invecchiando ho guadagnato un setaccio, bellissimo, a maglie fitte. Non faccio che scuoterlo, quando cammino. A volte mi sorprende scoprire quello che salva e quello che lascia andare. Non nego di essere sollevata, perché la decisione, in ogni caso, non dipende dalla mia volontà.
Quando non sogno l’altrove, ho i piedi su un sentiero. Desidero moltissimo un mondo così. Le persone sembrano più gentili e tutti gli odori sono buoni. Lo zaino pesa ma è leggero. Da quando sotto ai miei piedi c’è un sentiero, non ho bisogno di separare; mi sembra tutto ugualmente necessario. Il sentiero è lo stesso di sempre; l’ho percorso molte volte: più avanti il maggiociondolo ingioiellato, dietro la svolta il sasso dove ho mangiato la mela più fragrante del mondo. Mi ritrovo in frammenti che non sempre mi appartengono. Li prendo comunque, e a volte sono uova di creature che non mi assomigliano per niente. Mi viene il sospetto di camminare distratta, di rubare senza accorgermene. Ma non c’è niente da fare: ogni volta che torno indietro, non riconosco più niente.
1 C. L. Candiani, Il silenzio è cosa viva, Torino, Einaudi, 2018, p. 73.