Completo Camagüey / The Whole City. Ipertesto

di Maria Teresa Rovitto

© Armando Guerra

Una lingua senza esserci 

 L’esperienza dell’esilio da Niki Giannari a Eschilo

di Maria Teresa Rovitto

Degli spettri si aggirano per l’Europa 
di Niki Giannari


Come parte una persona?
Perché parte? Verso dove?

[…]

Mi vergogno di fronte ai bambini
che, cocciuti, si consegnano commossi alla vita.
Mi vergogno di fronte a queste donne
mi vergogno di fronte agli uomini che s’affrettano
per diventare come noi, in Germania.

Ma per quanto possano diventare come noi,
tranquilli, dipendenti e privati a poco a poco dell’anima,
fino a dimenticarsi chi sono
e da dove vengono,
ci sarà sempre questa notte
durante la quale hanno cantato attorno al fuoco.

[…]

I morti che abbiamo dimenticato,
gli impegni che abbiamo preso e le promesse,
le idee che abbiamo abbracciato,
le rivoluzioni che abbiamo fatto,
i sacramenti che abbiamo negato,
tutto questo è tornato con loro.
Ovunque tu guardi nelle vie
O nei corsi dell’Occidente,
si fanno strada: questa processione sacra
ci guarda e ci attraversa.

Il componimento poetico appena letto apre il testo Passare a ogni costo di Georges Didi-Huberman e Niki Giannari (Edizioni Casagrande, 2019). Si tratta di una lettera da Idomeni, come ama pensarla la scrittrice greca, dal campo profughi al confine greco-macedone che nel 2016 è diventato il luogo simbolo della violenza consumata alle porte di un’Europa necrotica, di questo ospizio inospitale.

È una testimonianza che dà anche il titolo al documentario Spectres are haunting Europe (2016) girato con Maria Kourkouta, un’archeologia di immagini e piani cinematografici in cui i corpi dei profughi appaiono e scompaiono fuori campo, come spettri. Proprio a partire da questa visione, Didi-Huberman apre la sua riflessione su questa intera popolazione che si forma a partire dal suo semplice desiderio di passare.

«[I] rifugiati di Idomeni assomigliavano a degli spettri, quegli esseri d’altrove che la buona coscienza teme, vuole scongiurare, vorrebbe ignorare o sapere due volte morti piuttosto che una, ma dei quali i nostri occhi non possono fare altro che constatare il passaggio perpetuo, il ritorno ostinato. 
Dopo tutto, i rifugiati stanno solo tornando […] Se accettiamo l’idea che questi spettri si aggirano per tutta l’Europa, vale a dire che ci perseguitano […] allora dobbiamo capire a quale emozione, a quale impensato della nostra storia ci fanno accedere le loro azioni. Da dove vengono? O meglio, visto che sarebbero spettri, da dove ritornano? Da quale memoria? Da quale storicità? Da quale spazio di morte …?»1

Il filosofo definisce i profughi parenti di ritorno che cerchiamo di rimuovere dalla nostra stessa genealogia in nome di una presunta identità che non esiste, di una purezza che se fosse esistita attraverso i secoli ci avrebbe resi geneticamente malati, degenerati. 

«Uno spettro sarebbe così il nostro straniero familiare. La sua comparsa è sempre una ricomparsa.»2

Come una lunga lettera è pensato anche il romanzo Brevemente risplendiamo sulla terra, esordio di Ocean Vuong, scrittore nato in Vietnam nel 1988 e trasferitosi negli Stati Uniti (Massachusetts) nel 1990. In una lettera alla madre ricostruisce la storia della sua famiglia segnata dall’emigrazione. La donna soffre di un violento disturbo da stress post-traumatico che compromette il rapporto con il figlio. Con loro abita anche la nonna Lan, una storia la sua che rievoca una delle tragedie greche più centrate sulla ospitalità, in termini moderni, diremmo, sul diritto d’asilo e sul diritto di (e/im)migrazione, Le Supplici di Eschilo.

Come le Danaidi, le cinquanta figlie di Danao, re di Libia, la donna vietnamita fugge da un matrimonio combinato con un uomo più anziano. Se le Danaidi, percorrendo il Mediterraneo, approdano nella città greca di Argo, Lan approda negli Stati Uniti, dove sarà costretta a vendersi ai soldati americani per mantenersi. 

Queste due opere, il romanzo e la tragedia, sono legate non solo dalla storia e dai temi, e già questo basterebbe per riflettere sullo spaventoso ritorno di situazioni esistenziali che si ripropongono a distanza di millenni, ma anche da una visione comune dell’uso della lingua da parte degli stranieri come loro.   

Una lingua che deve essere misurata, pensata, dosata, senza accenti o toni troppo vigorosi, perché la forza e l’energia potrebbero spaventare chi ospita. Una lingua senza esserci. Una lingua priva di spontaneità. Allora chi ama dà questi consigli non solo perché crede nella pur nobile arte della diplomazia al fine di costruire una relazione, ma anche con il cuore convinto che solo così le loro creature sembreranno meno minacciose, meno spettrali:

Danao esorta le figlie a invocare protezione presso gli Argivi:

«Su, presto, presto andate! Tenete quelle candide bende di supplici, sacre a Zeus, nella mano sinistra, e parole di rispetto, di pietà, di aiuto, rivolgete agli stranieri, come si conviene a chi giunge forestiero, e dite chiaramente che siete esuli ma non per un delitto di sangue. E soprattutto le vostre parole si accordino su un tono né arrogante, né vacuo, ma parlate come persone accorte e misurate; il vostro sguardo, il vostro volto sia tranquillo. Non devi essere precipitosa e nemmeno prolissa nel parlare: la gente di qui è molto insofferente. E ricordati di essere accondiscendente: è necessario perché sei una straniera, un’esule! Le parole arroganti non si addicono a chi è più debole.»3 

La mamma esorta il giovane figlio a difendersi dopo uno dei tanti episodi in cui viene ridicolizzato dai suoi coetanei per la sua diversità:


«Devi trovare un modo, Little Dog,» mi hai detto tra i capelli. «Devi trovare un modo perché io non ho l’inglese giusto per aiutarti. Non posso dire nulla per fermarli. Trova un modo. Trova un modo oppure non dirmele più queste cose, mi hai capito?»4
  1. Passare a ogni costo, Georges Didi-Huberman, Niki Giannari, Edizioni Casagrande, 2019, pp. 24-28 ↩︎
  2. Ivi, p. 25 ↩︎
  3.  Le Supplici, vv.191-203, Eschilo, le Tragedie, i Meridiani, Mondadori, traduzione di Monica Centanni  ↩︎
  4. Brevemente risplendiamo sulla terra, Ocean Vuong, tr. it. di Claudia Durastanti, La nave di Teseo, 2020, p.40 ↩︎

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