di Emanuele Grittani

© Marina Marcolin
Un universo a forma di persona
di Emanuele Grittani
Per l’ipertesto legato allo Spiraglio si tenterà di ricostruire una semplificata cosmogonia della produzione di Fernando Pessoa e dalla sua sfilata eteronomica. E lo si può fare in un solo modo. Accettando con garbo il fallimento. Rilassandosi all’idea che quell’universo a forma di persona, direbbe Niccolò Fabi, non è ricostruibile se non con la scomposizione.
Antonio Tabucchi ci va vicino, ma persino lui nella prima metà degli anni Novanta si arena in una bulimia portoghese – si pensi alla trilogia Requiem (Feltrinelli, 1992), Sogni di sogni (Sellerio, 1992) e Gli ultimi tre giorni di Fernando Pessoa (Sellerio, 1994) – che gli fa vedere da ogni parte questo ometto baffo e cappello. Tanto da essere costretto a ucciderlo. Ne Gli ultimi tre giorni di Fernando Pessoa ne racconta la morte. In una liberatoria messa laica, di celebrazione e saluto, perché per poter sopravvivere a un Padre è necessario ammazzarlo. Ma Tabucchi ha troppo rispetto per Pessoa per compiere un omicidio efferato, piuttosto lo lascia andare via, nel sonno. I due si rincontreranno sulla sponda della critica e delle traduzioni, da lì in poi molto meno su quella della narrativa.
Eppure, l’atteggiamento di Tabucchi è il più funzionale (e suggestivo) per interpretare l’ermeneutica pessoana. Il narratore pisano approda al porto Pessoa avendone battuto ampiamente la costa. Il suo approccio non critico – da notare gli indici dei saggi e degli scritti di Tabucchi su Pessoa, pieni di supposizioni ingorde, forse pretenziose – è funzionale proprio perché critico lo è, moltissimo, perché Tabucchi ha le spalle allargate da vent’anni di ricerca e traduzioni. E allora con placida consapevolezza, a tratti rassegnazione alla sconfitta, Tabucchi usa la finzione per delineare (e integrare) la realtà, in pieno stile postmoderno, plasmando biografia sogni allucinazioni e deliri del più grande poeta della letteratura portoghese.
E sta lì, Antonio Tabucchi, un fan che assiste al concerto del suo cantautore preferito. Un uomo jukebox che cambia tono ogni canzone, che non suona mai allo stesso modo. E alla fine del concerto attende che il suo idolo lasci la chitarra sul palco, per andarla a pizzicare.
Alcune informazioni biografiche sugli eteronimi saranno utili per ricostruire la nebulosità della materia, sapendo che l’aspirazione ha in nuce il tentativo di restituire la complessità dell’uomo del Novecento. Pessoa, per citare gli esempi più immediati, radicalizza il tema identitario pirandelliano e attua su di sé lo stilema di Picasso della scomposizione delle figure.
Gli eteronimi sono quindi altri da sé, voci in lui contenute, che hanno però una propria identità, biografia, fisionomia e un proprio pensiero artistico.
Il primo riferimento è allo stesso Pessoa, il cui nome intero è Fernando António Nogueira Pessoa, che ha lasciato anche svariati scritti ortonimi. Nasce il 13 giugno 1888 a Lisbona. All’età di cinque anni perde suo padre, ammalato di tubercolosi. Nel 1995 si trasferisce in Sudafrica, ma nei suoi scritti non si fa riferimento al periodo infantile. Torna poi in Portogallo, per vivere il resto dei suoi giorni a Lisbona e morirci, il 30 novembre 1935, in seguito a una crisi epatica probabilmente causata dall’abuso di alcol.
Il primo eteronimo a comparire è Alberto Caeiro, considerato infatti il padre di tutti gli eteronimi e dello stesso Pessoa. Nasce a Lisbona nel 1889 e Pessoa lo pensa già defunto, tubercoloso come il padre, trova la morte nel 1915. È un poeta contadino-bucolico, un antimetafisico, un uomo contemplativo di cui Pessoa ci lascia una biografia piuttosto lacunosa. Compare per la prima volta l’8 marzo 1914, data epifanica per la creazione degli eteronimi, in cui Pessoa – in preda a un raptus poetico – scrive più di trenta poesie a suo nome.
Una personalità diversa invece quella di Ricardo Reis, che nasce a Oporto il 19 settembre del 1887. Non è nota la data della sua morte. Di educazione gesuita, è medico ma non è dato sapere se si serve della sua professione per vivere. Le sue idee monarchiche lo costringono alla fuga in Brasile, dopo l’instaurazione della Repubblica portoghese. È poeta sensista e classicista, influenzato dalle satire di Orazio. Lo scrittore Premio Nobel José Saramago riprende la sua storia nel romanzo L’anno della morte di Ricardo Reis (Feltrinelli, 1985).
La critica ha cercato, nel tempo, di creare una simil classificazione degli eteronimi. Se Alberto Caiero, Ricardo Reis, Àlvaro de Campos (di cui parleremo successivamente) e António Mora sono generalmente considerati i più rappresentativi, ad altra categoria appartiene Bernando Soares. Difatti non è nota né la sua data di nascita né la sua data di morte. Pessoa lo considera un semi-eteronimo, in quanto la sua personalità è basata in gran parte su quella del suo creatore. Non un altro da sé ma una «mutilazione di sé». A lui appartiene la paternità di un diario metafisico, uno zibaldone intitolato Il libro dell’inquietudine (Feltrinelli, 1986).
Il più noto eteronimo resta Àlvaro de Campos che nasce a Tavira, in Algarve, il 15 ottobre del 1980 e muore a Lisbona il 30 novembre 1935 (giorno della morte di Pessoa). Si laurea a Glasgow in ingegneria navale e vive a Lisbona, senza mai esercitare la professione. Poeta decadente, nichilista, futurista e avanguardista. L’emblema di un intellettuale pressoché snob, annoiato, un borghese antiborghese. Una delle sue poesie più apprezzate si intitola Tabaccheria (Tabucchi la considera la più bella poesia del secolo). Un suo amore omosessuale – la critica, in maniera non concorde, tende ad affibbiare un’omosessualità latente allo stesso Pessoa – rappresenta uno dei motivi di crisi del rapporto tra Fernando Pessoa e Ophélia Queiroz, unico grande (e breve) amore del poeta.La fattualità mi perdonerà qualche errore per quanto riguarda invece il piccolo e sfortunato copista, João Gaspar Simões. Pessoa non si è mai poggiato a nessun copista, come avrebbe potuto? João Gaspar Simões è un caro amico del poeta ma soprattutto è considerato uno dei più grandi critici letterari portoghesi, il primo a interpretare e studiare l’opera pessoana. Assieme a Branquinho da Fonseca e José Régio fonda la rivista Presença, la più prestigiosa rivista dell’epoca, attiva dal 1927 al 1940, che ha ospitato alcune poesie di Àlvaro de Campos e Alberto Caeiro e alcune prose di Bernando Soares.