8 gennaio 1999. Ipertesto

di Livia Del Gaudio

© Biagio Di Niquilo

Chiamati a difendere

di Livia Del Gaudio

La mano destra, tesa in avanti a placare la folla, è l’unico elemento stabile a cui si àncora la regia. È una giornata serena di dicembre, molto fredda: Ceaușescu indossa un colbacco bordato di pelliccia, il cappotto ben allacciato sul petto, una sciarpa gli copre la gola. Tra striscioni che inneggiano alla Romania, ben visibili nelle prime file, si affacciano i volti dipinti di Nicolae e della moglie Elena, ostesi come icone, i santi di un paradiso che, fino all’ultimo, i coniugi Ceaușescu si sentono chiamati a difendere: la Romania è l’unico Stato del Patto di Varsavia nel quale la fine del socialismo non solo ha luogo in modo violento ma viene ripresa in diretta, il 21 dicembre 1989.

Dopo la retorica introduttiva – i dovuti ringraziamenti al partito, alle forze dell’ordine, agli organizzatori del raduno di Bucarest – il discorso del leader viene bruscamente interrotto. Una nube di fischi si solleva dal basso. Elena, che entra in scena sotto forma di voce fuori campo, sostiene il marito nella richiesta di silenzio. La sensazione che stia succedendo qualcosa di diverso da ciò a cui il regime ha abituato i romeni negli ultimi trent’anni si intuisce dal fatto che la telecamera si sposta dal balcone da cui affaccia Ceaușescu ai palazzi di fronte. Un taglio visivo che rivela imbarazzo. Eppure, forse perché impegnati in ben altri problemi, nessuno dà ordine alla regia di interrompere la trasmissione.

Quando la telecamera torna al balcone l’inquadratura è dal basso. Ceaușescu è impegnato in una nuova trattazione: niente richiami all’amore di Patria, ma più soldi. Quello che promette ai romeni in cambio di una fedeltà che vacilla è l’aumento del salario minimo da 2000 a 2200 lei. In una mossa che ricorda i venditori televisivi che a tarda notte regalano a prezzi stracciati tappeti persiani e vasi cinesi di epoca Ming, alza la posta: assicura un benefit aggiuntivo tra i 30 e i 50 lei per ogni figlio.

L’universalismo, per sua stessa definizione, non può essere relativo, non può riconoscere limitazioni e non può accettare imposizioni. È forse questo l’errore più grande di Ceaușescu: mostrarsi capace di compromesso in mondovisione.

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