The watering place. Scrivere sull’acqua. Ipertesto

a cura di Aurora Dell’Oro

© Camilla Schmitt, Bergman.

Per gli ipertesti di “The watering place. Scrivere sull’acqua” di Livia Del Gaudio abbiamo pensato a una galleria di parole. Ci ritiriamo come la risacca, ci facciamo trasparenti: lasciamo che a parlare d’acqua siano loro.

Shinkichi Takahashi, Mare dell’oblio

Futuro, passato, il mare
dell’oblio,
mentre il presente è capovolto.
Il sole divide in due
il mare —
una metà è già imbottigliata.

Gambe allungate sulla spiaggia,
una donna sente
il granchio del ricordo
salirle strisciando sulle cosce.
Da qualche parte
il suo amante sta annegando.
Sporchi di sabbia, bagnandosi
nei sogni,
i giovani balzano l’un contro l’altro.


(AA. VV., Poesie Zen [1977/1981], a cura di Lucien Stryk e Takaschi Ikemoto, traduzione di Adriana Ziffer Gallo, Newton Compton, 1992, p. 108.)

Gilbert Durand

Con molta finezza Alquié nota che l’acqua poetica non è affatto legata alla purificazione, «essa lo è piuttosto alla fluidità del desiderio, opponendo al mondo di materia solida, i cui oggetti si possono costruire in macchine, un mondo prossimo alla nostra infanzia, dove non regnano le leggi coercitive della ragione» (Philosophie du surréalisme, 1955).


(Gilbert Durand, Le strutture antropologiche dell’immaginario. Introduzione all’archetipologia generale [1963], traduzione di Ettore Catalano, Dedalo, 2009, p. 287.)

Piero Camporesi

Indissolubilmente connessa al latte nella sensibilità arcaica, nella mentalità prescientifica e nell’inconscio, l’acqua «material principio di tutti i composti» (Talete) si integra con la donna, col principio femminile e materno che secerne il latte.


(Piero Camporesi, Il triangolo liquido. Acqua, latte e vino [1990], in Il governo del corpo. Saggi in miniatura [1995], Garzanti, 2008, p. 118.)

James Joyce

“Che cosa ammirava nell’acqua, Bloom, acquofilo, attintore d'acqua, portatore della medesima, tornando alla cucina economica? 
La sua universalità; la democratica eguaglianza e costanza della sua natura nel cercare il proprio livello; la sua immensità nell’oceano della proiezione di Mercatore; la sua profondità insondata nella fossa del Sundam del Pacifico, che oltrepassa gli 8000 bracci; l’irrequietezza delle sue onde e le particelle di superficie che visitano a turno i punti del loro lungomare; l’indipendenza delle sue unità; la varietà degli stati marini; la sua quiescenza idiosincratica nella bonaccia; la turgidità idrocineteca nelle basse e alte maree; il suo accasciarsi dopo le devastazioni; la sua sterilità nelle calotte circumpolari, artiche e antartiche; la sua rilevanza climatica e commerciale; la sua preponderanza di 3 a 1 rispetto alle terre emerse nel globo; l’indisputata egemonia che si estende per leghe quadre su tutte le regioni sotto il subequatoriale tropico del Capricorno; la multisecolare stabililità del suo bacino primordiale; il suo letto luteofulvo; la sua capacità di dissolvere e incorporare in una soluzione tutte le sostanze solubili, compresi milioni di tonnellate di metalli tra i più preziosi; la sua lenta erosione delle isole e penisole, insieme alla costante formazione di isole omotetiche, di promontori che tendono a sprofondare; i suoi depositi alluvionali; il suo peso volume e densità; la sua imperturbabilità in lagune e laghi di montagna; la gradazione dei suoi colori nelle zone torride, temperate e glaciali; le sue ramificazioni veicolari nelle correnti continentali attraverso laghi e fiumi che confluiscono, sfociando in fiumi che si gettano nell’oceano con correnti tributarie e transoceaniche, e correnti del golfo con tragitto nord e sud equatoriale; la sua violenza in maremoti, trombe marine, pozzi artesiani, eruzioni, torrenti, vortici, turbini, inondazioni, risacche, acque che separano, acque che dipartono, geyser, cateratte, risucchio di gorghi, maelstrom, allagamenti, diluvi, nubi tuonanti; la sua vasta curva anorizzontale circumterrestre; i segreti delle sorgenti, e la latente umidità, rivelata dagli attrezzi di rabdomanti o da igrometri, ed esemplificata dal buco nel muro dell’Ashtown Gate, la saturazione dell’aria, la distillazione della rugiada; la semplicità della composizione, due parti d’idrogeno con una di ossigeno; le sue virtù curative; la possibilità di stare a galla nel Mar Morto; la sua perseverante penetrazione in canaletti, scoli, arginature malfatte, falle d’una nave; la sua virtù nel pulire, spegnere la sete e il fuoco, nutrire i vegetali; la sua infallibilità come paradigma o paragone; le sue metamorfosi come vapore, nebbia, nubi, pioggia, nevischio, neve, grandine; la sua forza nei rigidi idranti; la varietà di forme in tratti di mare, baie, golfi, cale, imboccature di porto, lagune, atolli, arcipelaghi, sound, fiordi, minches, estuari soggetti a maree, e bracci di mare; la sua solidità nei ghiacciai, iceberg, banchi fluttuanti; la sua docilità nel muover le ruote di mulini idraulici, turbíne, dinamo, centrali elettriche, congegni candeggianti, concerie, macchine tessili; la sua utilità nei canali, fiumi se navigabili, fluttuanti e docks di carenaggio; il suo potenziale viene dalle maree imbrigliate in corsi d’acqua che precipitano da un livello all’altro, e la sua fauna e flora sottomarina (anacustica, fotofobica), numericamente se non letteralmente, costituisce i vari abitanti del globo; la sua ubiquità al 90% del nostro corpo; la nocività di esalazioni in padule lacustri, tanfi pestilenziali, acqua di fiori appassiti, stagnanti gore sotto la luna calante”.


(James Joyce, Ulisse, Diciassettesimo episodio. Itaca, traduzione di Gianni Celati, 2013, Einaudi, pp. 833-835)

Italo Calvino

Il mare è appena increspato e piccole onde battono sulla riva sabbiosa. Il signor Palomar è in piedi sulla riva e guarda un’onda. Non che egli sia assorto nella contemplazione delle onde. Non è assorto, perché sa bene quello che fa: vuole guardare un’onda e la guarda. [...]
Il signor Palomar vede spuntare un’onda in lontananza, crescere, avvicinarsi, cambiare di forma e di colore, avvolgersi su se stessa, rompersi, svanire, rifluire, A questo punto potrebbe convincersi d’aver portato a termine l’operazione che s’era proposto e andarsene. Però isolare un’onda separandola dall’onda che immediatamente la segue e pare la sospinga e talora la raggiunge e travolge, è molto difficile; così come separarla dall’onda che la precede e che sembra trascinarsela dietro verso la riva, salvo poi voltarglisi contro come per fermarla. Se poi si considera ogni ondata nel senso dell’ampiezza, parallelamente alla costa, è difficile stabilire fin dove il fronte che avanza s’estende continuo e dove si separa e segmenta in onde a sè stanti, distinte per velocità, forma, forza, direzione. 
Insomma, non si può osservare un’onda senza tener conto degli aspetti complessi che concorrono a formarla e di quelli altrettanto complessi a cui essa dà luogo. Questi aspetti variano continuamente, per cui un’onda è sempre diversa da un’altra onda; ma è anche vero che ogni onda è uguale a un’altra onda, anche se non immediatamente contigua o successiva; insomma ci sono delle forme e delle sequenze che si ripetono, sia pur distribuite irregolarmente nello spazio e nel tempo. [...]
Comunque il signor Palomar non si perde d’animo e ogni momento crede d’esser riuscito a vedere tutto quello che poteva vedere  dal suo punto d’osservazione, ma poi salta fuori sempre qualcosa di cui non aveva tenuto conto. Se non fosse per questa sua impazienza di raggiungere un risultato completo e definitivo della sua operazione visiva, il guardare le onde sarebbe per lui un esercizio molto riposante e potrebbe salvarlo dalla nevrastenia, dall’infarto e dall’ulcera gastrica. E forse potrebbe essere la chiave per padroneggiare la complessità del mondo riducendola al meccanismo più semplice. [...]
Forse il vero risultato a cui il signor Palomar sta per giungere è di far correre le onde in senso opposto, di capovolgere il tempo, di scorgere la vera sostanza del mondo al di là delle abitudini sensoriali e mentali? No, egli arriva fino a provare un leggero senso di capogiro, non oltre. L’ostinazione che spinge le onde verso la costa ha partita vinta: di fatto, si sono parecchio ingrossate. Che il vento stia per cambiare? Guai se l’immagine che il signor Palomar è riuscito minuziosamente a mettere insieme si sconvolge e frantuma e disperde. Solo se egli riesce a tenerne presenti tutti gli aspetti insieme, può iniziare la seconda fase dell’operazione: estendere questa conoscenza all’intero universo. 
Basterebbe non perdere la pazienza, cosa che non tarda ad avvenire. Il signor Palomar s’allontana lungo la spiaggia, coi nervi tesi com’era arrivato e ancor più insicuro di tutto.

(I. Calvino, Palomar, Milano, Mondadori, 1994, pp. 5-9)

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