a cura di Maria Teresa Rovitto e Mario Emanuele Fevola

© Dario Faggella
Le tue lettere mi fanno sentire che esisto realmente
di Maria Teresa Rovitto
Quando le capitava di rileggere le sue lettere, Carolee Schneemann (1939-2019) aveva come l’impressione di essere davanti a un luogo vagamente familiare, come se avesse ereditato quella raccolta da qualcuno che una volta, in passato, conosceva molto bene.
Correspondence Course: An Epistolary History of Carolee Schneemann and Her Circle1 raccoglie senza censure la corrispondenza lunga oltre cinquant’anni che la pittrice, perfomer, regista e poetessa ha intrattenuto con diversi artisti e figure vicine al suo mondo, come Dick Higgins, Joseph Cornell, Jonas Mekas, Kate Millett, la ballerina e regista Yvonne Rainer, il poeta Clayton Eshleman, lo psichiatra Joseph Berke.
Nota a molti per il film Fuses (1964)2, le performance Meat Joy (1964)3 e Interior Scroll (1975)4, del suo lavoro proteiforme, esangue, che ha fatto della mente e del corpo un campo di ricerca per tutta la vita, si conservano tracce del concepimento e della realizzazione in queste irriducibili conversazioni dall’altissimo valore letterario.
La prima lettera, destinata al regista Stan Brakhage, risale al febbraio del 1956, quando aveva solo sedici anni, e la sua estesa corrispondenza con il compositore James Tenney, il suo compagno di allora, che va dalla metà degli anni Cinquanta alla fine degli anni Sessanta, restituisce la passione di due giovani artisti che hanno avuto la fortuna di incontrarsi mentre erano entrambi impegnati nel percorso formativo che avrebbe permesso loro di diventare chi volevano essere.
Nelle missive Schneemann riflette sul processo creativo, sugli esperimenti estetici, sui movimenti del suo gatto Kitch, così come sulla sessualità e sulle sue strazianti esperienze di aborti illegali, apice dei passaggi più intimi; quelle stesse lettere che per sua confessione non ha mai più riletto.
Vuole confrontarsi con spiriti affini, la sua tribù, come la chiamava lei; sulle posizioni dei curatori che etichettano frettolosamente il suo lavoro e si preoccupano della nudità nella sua arte; sui problemi finanziari, sulle questioni politiche del suo tempo che esigono una risposta da parte del mondo degli artisti; sulla costruzione di una reputazione autoriale; sulle vicissitudini mondane del mondo dell’arte, ora volgari ed esasperanti, ora prodigiose. Su tutto, desidera dissetarsi presso menti con le quali, grazie a un reciproco riconoscimento, stabilisce una comunione. Si impegna in questa direzione a costo di non ricevere alcuna risposta.
Leggendo questa corposa raccolta i lettori possono seguire lo sviluppo dell’arte, del pensiero e delle relazioni pubbliche e private di Schneemann che conserva le lettere che ha scritto e ricevuto, salvando dall’effimero sé stessa e i suoi interlocutori5, lottando contro la solitudine6 e poi l’invecchiamento.
Emergono la visione, le paure, le fragilità degli artisti che contribuirono a cambiare radicalmente le condizioni e la forma in cui l’arte veniva realizzata, nel connubio tra diversi linguaggi espressivi quali la musica, il cinema, la danza, il teatro e la letteratura. La prima generazione a espandere il concetto di arte interdisciplinare imprime in queste lettere idee, teorie e programmi estetici raffinati che diedero inizio a ciò che Dick Higgins, uno degli artisti aderenti a Fluxus7, nel 1966 chiamò Intermedia.
Le lettere di Schneemann comunicano, inoltre, tutta l’esperienza sensibile e corporea vissuta durante la stesura e diventano un vero e proprio oggetto visivo. Batteva su una macchina da scrivere Underwood e poi le abbelliva correggendo gli errori tipografici con penne colorate, matite e pastelli, rifinendo tutto con disegni, timbri a inchiostro colorato e francobolli; opere d’arte in cui la stessa punteggiatura, la grammatica, la disposizione delle parole sul foglio mostrano un’idiosincrasia verso tutto ciò che è conforme alle regole imposte da altri, tanto da porre un problema di leggibilità. Schneemann, come anche molti dei suoi interlocutori, hanno creato narrazioni testuali che si aprono alle possibilità di un certo tipo di presenza spaziale, che non può essere concepita a priori, ovvero prima dell’esperienza.
Le lettere offrono l’opportunità di scandagliare la materia dalla quale germina l’arte, così come quella di seguire da vicino le istanze e le contaminazioni di una tale vita in comune. In un’epoca in cui la comunicazione è stata profondamente trasformata dai media digitali, scrivere lettere rimane una pratica di ineguagliabile esposizione.
Questa corrispondenza, iniziata nel 1956 e terminata nel 1999, rappresenta anche una costruzione biografica di Carolee Schneemann che nella pratica riflessiva della interazione epistolare sperimenta l’incertezza del campo autobiografico in quelle forme discorsive che, al tempo stesso, confluiscono nella sua arte. Attraverso le lettere performa un io costruito per altri che si rivela, da una prospettiva ora realistica ora più prossima a una trasfigurazione finzionale, una incessante scoperta del sé8.
Sembra che nelle lettere Schneemann abbia il coraggio di mettere in scena l’artista che desidera essere e che, attraverso questo spazio testuale transitorio, lo diventi poi nella realtà9.
Correspondence course, dunque, non è di certo un modo per affermare il suo io, di cui l’artista dichiara di volersi disfare; è una ricerca che le consente di provare a superare i limiti proprio in un crudo confronto con l’altro che solo può restituirle la sua immagine come oggetto dello sguardo esterno, quella stessa sensazione di dislocazione provata nel processo creativo: «I’m always trying to get rid of the sense of being. I want to be the instrument of my own disappearance, to obliterate the self. Here is the basic thing that I discovered when I was painting: you become what you are looking at»10.
1 Correspondence Course: An Epistolary History of Carolee Schneemann and Her Circle, Kristine Stiles Editor, 2010. 2 Un film erotico autoprodotto nel quale l’artista si riprese assieme al suo compagno di allora, James Tenney, che può definirsi una silenziosa celebrazione a colori dell’atto sessuale. Le energie erotiche sono sprigionate all’interno di un ambiente domestico e, attraverso la sovrapposizione e la stratificazione di impressioni astratte graffiate nella celluloide stessa, i flussi sessuali della mente e del corpo sembrano materializzarsi. L’artista era animata dalla volontà di capire se l’autorappresentazione del sesso da parte di una donna fosse differente dalle rappresentazioni proposte dall’arte tradizionale o dalla pornografia. 3 È una performance germinata dal teatro cinetico che raduna otto persone che danzano e giocano con oggetti e sostanze rievocando gli antichi culti dionisiaci; definita dall’artista come una «celebrazione della materialità della carne», esplora il modo in cui cambiano le dinamiche sociali quando vengono meno restrizioni e tabù. 4 Una performance in cui l’artista, nuda, estrae una pergamena dalla sua vagina e comincia a leggerne le frasi. Un’opera emblematica della Body Art femminista che racchiude le preoccupazioni di natura sessuale, politica ed estetica del movimento. 5 «Di nuovo, lavoro perché devo vedere le cose in prima persona e ho conservato le lettere. Non so nemmeno il motivo per cui mi sono interessata così tanto alle testimonianze e a quello che si lascia come traccia e impronta, che potrebbe essere d’ispirazione, illuminante o deludente. C’è un valore nel cercare di trattenere l’effimero. Mi è tutto così prezioso, tutto», Carolee Schneemann. Unforgivable, Black Dog Publishing, London, 2015, p. 24 6 «Non so. Sono molto più disillusa e sono più sola, è tutto. Non ho una forte, vivace comunità intorno a me», Ibidem. 7 Un network internazionale di artisti, compositori e designer conosciuti per aver mescolato negli anni Sessanta diversi media e diverse discipline artistiche lavorando nel campo della performance, del Neo-Dada, del rumorismo, nelle arti visive, nella architettura, nella letteratura. 8 «Ho deciso di scrivere, dal momento che è come una lettera che spedirei a me stessa se fossi qualcun altro», Carolee Schneemann. Unforgivable, Black Dog Publishing, London, 2015, p. 37 9 «Per me scrivere è vedere», Ivi, p. 38 10 Ibidem

© Dario Faggella
Lo scrittore e l’artista
Arte sequenziale, parole e immaginario in Will Eisener
di Mario Emanuele Fevola
In Theory of Comics and sequential art del 1985, Will Eisner illustra i processi di creazione narrativa e grafica che si celano dietro la produzione di un fumetto. Il Capitolo 13, Writing and sequential art, descrive la visione di Eisner per quanto riguarda il rapporto tra scrittura e immagine e tra scrittore e artista.
«La “scrittura” per i fumetti può essere definita come la concezione di un’idea, la disposizione degli elementi dell’immagine e la costruzione della sequenza della narrazione e della composizione del dialogo. È contemporaneamente una parte e tutto il medium. È una competenza speciale, i cui requisiti non sono sempre comuni ad altre forme di “scrittura”, poiché si occupa di una tecnologia singolare. I requisiti sono più simili a quelli della scrittura teatrale, ma con la differenza che lo scrittore, nel caso dei fumetti, è anche l’artista che crea le immagini (imagemaker)» (p. 122).
Nel mondo dell’arte sequenziale, scrittura e immagini formano un unicuum. Tale manifestazione artistica si configura come un atto di fabbricazione concettuale, in cui la narrazione si sviluppa come il tessuto di una complessa trama. Nel dominio della scrittura pura, l’autore assume il ruolo di guida dell’immaginazione del lettore, fungendo da demiurgo dell’immaginario, mentre nei fumetti, l’atto immaginativo è affidato al fruitore stesso attraverso il medium visivo.
«È una competenza speciale, i cui requisiti non sono sempre comuni ad altre forme di “scrittura”, poiché si occupa di una tecnologia singolare. I requisiti sono più simili a quelli della scrittura teatrale, ma con la differenza che lo scrittore, nel caso dei fumetti, è anche l’artista che crea le immagini (imagemaker). Nell’arte sequenziale, le due funzioni sono irrimediabilmente intrecciate. L’arte sequenziale è l’atto di intrecciare una trama (weaving a fabric – tessere un tessuto)» (p. 122).
Il ruolo dello scrittore, demiurgo delle parole, si articola in una divisione arbitraria, in un atto di definizione che sottopone la “scrittura” al giogo di una selezione meticcia. Questa linea di demarcazione limita la sua funzione all’atto di concepire l’idea, plasmare la trama, impartire un ordine narrativo e creare il dialogo o i rimandi simbolici. Ma questo atto iniziale non è che l’embrione dell’opera completa. Le indicazioni dettagliate per l’artista, che descrivono i panels e il contenuto delle pagine, fungono da ponte sospeso tra l’immateriale e il visivo, veicolando l’idea dallo scrigno mentale dello scrittore alla tavolozza creativa dell’illustratore. Ogni componente è intrinsecamente connessa all’insieme: lo scrittore, fin dal principio, è investito della responsabilità di plasmare la percezione dell’artista nei confronti della sua storia, mentre l’artista deve concedere alla storia e all’idea la libertà di possederlo.
A differenza del teatro o del cinema, che coinvolge un’orchestrazione complessa di molteplici specialisti, i fumetti si sono tradizionalmente sviluppati come un prodotto creativo di un singolo individuo. Ma il passaggio dall’individuale al lavoro di gruppo è un’evoluzione innescata dalle “pressione del tempo”: scadenze di pubblicazione, gestione della proprietà intellettuale dei personaggio o un semplice allineamento con una visione editoriale specifica di tipo funzionale (ed economica) si fanno catalizzatori di questo processo.
Eppure, nell’intreccio di queste collaborazioni, si profila un enigma: chi è il vero “creatore” di una pagina di fumetti, quando una persona scrive, un’altra disegna e altre ancora intervengono nell’inchiostratura, nel lettering, nel colore e nei dettagli scenografici?
La risposta di Eisner è nelle caratteristiche del medium, che comprende un aspetto da non dimenticare: l’arte sequenziale è principalmente visuale. E l’arte visiva esercita un forte impatto iniziale sull’osservatore, seppure con alcune riserve.
«Ciò induce l’artista a concentrare le sue abilità sullo stile, la tecnica e i dispositivi grafici progettati per meravigliare. La reattività del lettore agli effetti sensoriali e spesso la sua valutazione del loro valore rafforzano questa preoccupazione e incoraggiano la proliferazione di artiste che producono pagine di arte assolutamente sorprendente, ma tenute insieme da una storia quasi inesistente» (p. 124).
Nei fumetti, indirizzati prevalentemente a un pubblico interessato all’aspetto visuale o soggetti a una narrazione che si concentra su un supereroe dal tratto semplice, l’azione e lo stile artistico spesso dominano a tal punto da attenuare il ruolo della “scrittura” tradizionale nella creazione complessiva. Un altro elemento che contribuisce a sfumare questa struttura è il processo in cui lo scrittore fornisce all’artista un sommario basilare della trama. L’artista procede quindi a creare una sequenza d’arte completa, organizzando i pannelli intorno a un’idea generale di “dialogo non scritto” e alle proprie percezioni dei requisiti narrativi. In queste circostanze, potrebbe emergere un conflitto di identità, poiché lo scrittore, nel suo sforzo di mantenere una giusta voce nel prodotto finale, sovrascrive spazi precedentemente definiti dall’artista, il quale ha creato un’interpretazione ormai stabilita.
«Dato questo legame reciproco, non c’è scelta (in giustizia nei confronti della stessa forma d’arte) se non riconoscere la supremazia della scrittura. Facendolo, però, si deve immediatamente riconoscere che in una configurazione perfetta (o pura), lo scrittore e l’artista dovrebbero essere incorporati nella stessa persona. La scrittura (o lo scrittore) deve avere il controllo fino alla fine» (p. 126).
La scelta di una storia e il suo modo di essere narrata sono inevitabilmente vincolati dallo spazio disponibile, dalle capacità dell’artista e dalle tecnologie di riproduzione a disposizione. È superfluo rilevare che dal punto di vista artistico e letterario, i fumetti possono affrontare tematiche e argomenti di profonda complessità e profondità. Non esiste un rapporto rigido tra parole e immagini, poiché le parole stesse, nel loro aspetto grafico (lettering), sono una parte integrante della forma artistica. L’arte sequenziale segue una regola generale che distingue tra un “visuale”, cioè una sequenza di immagini che sostituisce una descrizione verbale, e un’“illustrazione”, che enfatizza o decora un passaggio descrittivo, riproducendo essenzialmente il testo scritto.
«Il “VISUALE” è la forma più pura dell’arte sequenziale, poiché cerca di utilizzare una combinazione di lettere e immagini come linguaggio per affrontare la narrazione» (p. 129).
Solo un autore competente e con esperienza può accettare “una completa castrazione delle sue parole” (p. 132). Quando l’artista deve affrontare la sfida di preservare l’integrità delle parole dello scrittore, come nei dialoghi o nelle parti narrative, il risultato spesso si trasforma in una serie di talking heads, in cui i personaggi sembrano limitati a pronunciare discorsi senza vita.
«Naturalmente, quando lo scrittore e l’artista sono la stessa persona, questi problemi sono in qualche modo seppelliti nel processo di pensiero dell’autore/artista e vengono lavati nel flusso delle decisioni.[…] Sono sempre stato fortemente dell’opinione che lo scrittore e l’artista dovrebbero essere la stessa persona. In mancanza di ciò, e in assenza di qualsiasi accordo preventivo tra artista e scrittore, mi schiero a favore della predominanza dell’artista. Ciò non serve a liberarlo dall’obbligo di lavorare a servizio della storia originata dallo scrittore. Piuttosto, mi aspetto che lui si assuma questo fardello con la consapevolezza che con la cosiddetta “libertà” arriverà una sfida maggiore: quella di impiegare o ideare una gamma più ampia di dispositivi visivi e innovazioni compositive. Dovrebbe contribuire alla “scrittura”» (p. 133).