di Diana Chiarin

© Graziano De Leo
Un vecchio detto messicano dice: se un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola è un uomo morto.
Nella nostra storia potremmo dire che se un Guns – Axl Rose nello specifico – incontra un uomo con un racconto – tale Del James – a morire è una sposa.
La storia è Without you, racconto contenuto nella raccolta horror Il linguaggio della paura, scritta da Adalberto James Miranda, per gli amici Del James, che nasce e cresce in un posto che si chiama Mamaroneck nello stato di New York e di lui ci interessa poco, tranne il fatto che ha la grossa fortuna di avere un amico di nome Axl Rose, al quale fa leggere il racconto.
Axl, che possiede una personalità davvero complessa, bipolare con episodi di schizofrenia e autolesionista, legge il racconto di Del James e in Mayne, protagonista della storia, riconosce sé stesso. È un’epifania. Il racconto si rivela una perfetta sceneggiatura per un video, anzi meglio, perché non farne una trilogia? Tre video che raccontano una storia. Per Del James è la storia di Mayne ma per Axl Rose si tratta di un tributo a sé stesso e ai fantasmi che convivono in lui.

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Sinossi
In Without you, Mayne, frontman dei Suicide Shift è all’apice del successo: è giovane ed è schifosamente ricco. Ha anche un amore: Elizabeth Aston, donna bellissima e centro di tutta la sua vita.
«I suoi occhi risplendevano, ricordandogli la vastità dell’oceano, la sua bellezza e il mistero. Una leggera brezza danzò sulla chioma fluente […] Sembrava troppo bella per essere vera. In quel breve istante di euforia, guardandola, Mayne si rese conto che lei era l’unica donna che avesse mai amato.» (Da Without you)
Il nostro Mayne, come ogni rockstar maledetta, dipende da tutto quello che può assumere: alcol, droga, che si inietta anche sulla schiena, e farmaci.
«Negli ultimi quattordici dei suoi ventotto anni, aveva trascorso molto tempo con una bottiglia in mano. Tutto era incominciato con la birra e il vino delle feste adolescenziali, che si trasformarono in rum e vodka dei locali notturni e che, a loro volta, divennero degli straight whiskey.» (Da Without you)
L’amore per la sua donna è ciò che lo tiene in vita, che gli permette di rimanere umano, però è anche uno che possiede tutte le dipendenze possibili e quella affettiva non manca alla sua collezione. Ama di un amore soffocante e – attenzione spoiler – nel racconto, dopo una delle tante discussioni mentre lui suona la canzone che ha scritto per lei, che si intitola appunto Without you, si sente uno sparo.
Mayne è un personaggio dannato, afflitto dal proprio successo; il disperato perfetto, talmente perfetto che per Axl diventa impossibile non cascarci dentro.
Nasce così la trilogia November Rain. Una sequenza di video con un budget stratosferico, di una bellezza che in pochi sono riusciti a eguagliare; ma per dei video così, la musica non deve e non può essere da meno.

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Making Of Don’t Cry (1991)
Don’t Cry è una delle prime canzoni scritte dai Guns. Appare nei concerti dal vivo già nel 1985 ed è stata registrata in studio nel 1986, durante la progettazione di Appetite For Destruction, ma non venne inclusa nel disco. All’epoca la versione era meno lirica e molto più lenta di come apparirà poi su entrambi gli Use for Illusion di sei anni dopo.
Molti fans credono che il primo video della trilogia sia November Rain. In realtà, è proprio Don’t Cry il video che dà il via alla storia Mayne/Elizabeth e l’equivoco nasce dal fatto che, fin dalle prime note vediamo Axl già morto e in alcune sue possibili reincarnazioni, mentre in November Rain la storia si svolge nel tempo presente.
In Don’t Cry si mescolano scene di concerti, episodi di vita di Axl e frammenti utili a creare la linea narrativa che proseguirà poi in November Rain.
La canzone parla di un addio. Al tempo, Axl si era innamorato di una ragazza che frequentava anche Izzi Stradlin, allora chitarrista della band.
Durante un’intervista ripresa nel video Making F@*!IngVideos, Axl Rose dichiara:
«Si trattava di una ragazza con cui Izzy era uscito, ed ero davvero preso da lei. Lei lo lasciò per me. Una sera ero al Roxy e sai ero davvero innamorato di lei. Mentre realizzavo che non avrebbe funzionato, lei stava raccogliendo le sue cose e mi stava dicendo addio. Mi sono seduto e ho iniziato a piangere. Lei mi disse: non piangere. Quella sera ci siamo riuniti e abbiamo scritto la canzone.»
Alcune fonti piuttosto attendibili dicono invece che Axl diede di matto perché lei lo rifiutò scegliendo di stare con Izzy.
La canzone comunque venne scritta anche da Stradlin sebbene non compaia nel video, poiché prima di girare, nel 1991, lascia il gruppo per iniziare la carriera da solista, così la band decise di far comparire nel video un cartello scritto a mano che dice: Where’s Izzy?
La lotta con la pistola, all’inizio del video, si basa invece su un vero scontro avuto con Erin Everly, prima moglie di Axl Rose. Per Axl fu un processo doloroso riuscire a impersonare Mayne cercando di non farsi coinvolgere emotivamente. Il regista dovette insistere molto, fino a far arrabbiare Axl per costringerlo a rivivere un episodio realmente vissuto e portare la propria rabbia sul set.
Il video di Don’t Cry inizia con un bambino steso su un drappo di velluto. Nel suo occhio compare un corvo posato su un ramo. La telecamera si allarga e veniamo proiettati in una prima reincarnazione di Axl. Un soldato cammina nella neve, in una mano ha una bottiglia e nell’altra una pistola. L’uomo sembra disperato, barcolla. La telecamera indugia per un istante sulla pistola. Il campo si allarga nuovamente e ci ritroviamo al tempo presente. Axl, che ancora non si è trasformato in Mayne, ha una colluttazione con Stephanie Seymour che interpreta Elizabeth.
Vite passate che si mescolano a stralci di un amore che sta andando in pezzi.
La telecamera indugia su Elizabeth al muro con la pistola in mano e lentamente ci ritroviamo in un cimitero. Mayne ed Elizabeth stanno facendo un picnic sull’erba vicino a una lapide. I due osservano passare una processione funeraria e da una limousine sbuca la testa in lutto di Elizabeth. Tutto fa presumere il peggio, finché il corteo non si ferma e dall’auto esce prima un uomo armato e poi, inaspettatamente, lo stesso Axl zoppicante che si dirige davanti alla propria tomba dove si legge: W. Axl Rose 1962-1990. Un anno prima della registrazione del brano.
Per due terzi il video è una delirante corsa contro il tempo: la lotta tra i due amanti, la pistola, parti di concerto; Axl che annega trascinato sott’acqua dall’amore della sua vita ma che riesce a riemergere da solo e affamato d’aria, fino all’ultimo atto dove, in preda a una crisi schizoide racconta alla propria terapeuta di un uomo primordiale verde, un io interiore terreno. Curiosamente nella scena compare anche un cappellino dei Nirvana.
Nel finale, un bambino emerge da una vasca/fonte battesimale, ricompare l’omino verde che guarda la lapide da sotto e mentre tutto muta, compare la scritta «There’s a lot goin» (stanno succedendo molte cose), il corvo dell’inizio diventa colomba e vola verso l’alto.
Volutamente pieno di simboli, carico di meta-letture, Don’t Cry è incentrato sulla figura di Axl. È lui che tiene in mano i fili di questo racconto surreale; che mette in scena le sue idiosincrasie, le combatte, o almeno finge di farlo.
La band, nel video, fa esattamente questo: interpreta sé stessa. Suona negli spezzoni di concerto, si vede a sprazzi durante la scena di gelosia tra Stephanie/Elizabeth e una rivale seduta al pianoforte vicino ad Axl/Mayne.
Piccolo cammeo per Slash che, in auto, tenta di suicidarsi mentre la donna al suo fianco prova a fermarlo; così come Axl ricompare in cimitero davanti alla propria lapide, anche Slash riappare sul ciglio del burrone e, terminato l’assolo, getta la chitarra. Forse una ripetizione del concetto che musica e vita sono la stessa cosa, o più probabilmente che se l’amore muore, anche tutto il resto muore.

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Making of November Rain (1992)
Ed è difficile tenere una candela
nella fredda pioggia di novembre
Come per la canzone precedente, anche questa nasce circa nel 1983, ben prima di Appetite for Destruction. Axl riuscì a pubblicarla solo nel 1992 a causa dell’opposizione di Slash e Duff che non la ritenevano coerente con il loro stile. La versione originale del brano durava venticinque minuti, tempo in effetti esagerato anche per una ballad, così dopo una sapiente rielaborazione fu ridotta a quasi nove minuti (otto e cinquantanove per l’esattezza). La più lunga canzone mai entrata nella top ten americana.
I primi due video della trilogia sono piuttosto coerenti, fatti con attenzione, e seguono una linea visiva e narrativa evidente, ma solo November Rain è davvero basato sul racconto di Del James, mentre sia Don’t Cry che Estranged si riferiscono alla vita personale di Axl.
La trasformazione da Axl a Mayne avviene dunque in questo video. Prima e dopo si tratta di autocelebrazione. La musica è più dolce rispetto a Don’t Cry, la melodia è meno tortuosa e più godibile a scapito però dell’intensità. Infatti, nel primo video, i tagli sincopati e la musica creavano un senso di dolore e smarrimento, mentre ora, la dolce mestizia delle immagini e delle parole si legano alla perfezione e non disturbano.
Il video si struttura in due tempi: il tempo presente dove Mayne è da solo; e il tempo passato, con continui flash back dell’incontro con Elizabeth e il matrimonio con relativo funerale.
Ormai la trasformazione è completa: Axl e Mayne sono una cosa sola.
Mayne è seduto sul letto; apre una boccetta di pillole; spegne la sigaretta e ingoia i farmaci. Il cambio immagine ci porta nel barocco Orpheum Theatre di Los Angeles.
Ai Guns non piace suonare in playback così vengono chiamate 1500 comparse che avranno il privilegio di assistere gratis a un concerto live. Si alternano, con dolcezza, immagini di Mayne al piano, prima sul palco e poi all’interno di una chiesetta. Compare una statua del Cristo crocifisso che lacrima sangue. È l’inizio di una sequenza di simbolismi che troveremo per tutta la durata della canzone. A volte simboli chiari e interessanti, altre volte piuttosto banali (tipo la statua che piange sangue) ma utili per la narrazione.
Mayne sembra aver superato i problemi che lo affliggono, anche l’amore va bene. A questo punto inizia il matrimonio. In una prima sottotrama Elizabeth entra nella chiesa di St. Brendan a Van Ness, radiosa, magnifica. Ad attenderla all’altare un Mayne vestito come un cicisbeo francese. Il regista indugia qualche istante anche sugli altri componenti del gruppo, piuttosto snobbati nel video di Don’t Cry. Persino Slash, che ha una personalità che non passa inosservata ma sempre tenuta sottotono rispetto ad Axl, ha più spazio, anche perché gli assoli di chitarra richiedono la sua presenza, possibilmente col torace in mostra. Viene persino coinvolto in una piccola gag dove perde le fedi nuziali, quasi a segnalare che, questo matrimonio, non s’ha da fare.
Mostrare la felicità dei due sposi, con frammenti di puro amore, altro non fa che amplificare il dolore, la frustrazione e la rabbia che nel secondo tempo del video ci investe come una pioggia di autunno: fredda, malinconica e impossibile da frenare.
Durante le scene che riprendono il matrimonio compare una seconda sottotrama che fa presagire la direzione che prenderà il video. Vediamo un Mayne raggiante, mentre Elizabeth, che prima appariva felice, ora è malinconica: ha un’espressione cupa e guarda nel vuoto. Tutti festeggiano e solo il viso ombrato di tristezza della sposa annuncia la pioggia.
Si ritorna nuovamente in chiesa, stavolta c’è un funerale in corso. Nella bara il cadavere di Elizabeth; i banchi, prima affollati, ora sono vuoti. Mayne piange disperato e la musica, beh la musica è al suo massimo splendore.
Dentro la bara, metà del viso della donna è coperto da uno specchio. Questo stratagemma si usa di solito per dare l’effetto “viso completo” nei casi di suicidio con il viso sfregiato. Elizabeth si è forse sparata in testa?
Il video nasce molto prima di internet, e nessuno aveva davvero letto il racconto di Del James. In molti si sono chiesti il significato del finale e soprattutto di cosa fosse morta Elizabeth, arrivando alla conclusione che fosse morta per incidente stradale, visto che a fine matrimonio la coppia si allontana in auto o per altre cause, non collegando la lotta in Don’t Cry con la pistola.
Il cimitero che compare sembra lo stesso di Don’t Cry, e l’immagine del bouquet di Elizabeth che plana sulla bara unisce i due video, creando un tratto d’unione interessante.
Nessuno dice cosa davvero accade alla sposa: solo quello specchio, lì nella bara, ci fa intuire che è stato qualcosa di davvero molto brutto.
Mayne è ancora nel letto, nel sogno ha rivissuto il dolore della perdita, tenta di svegliarsi dall’incubo, mentre scorrono le immagini della sua donna che lancia il bouquet alle proprie spalle.
Il video finisce con Mayne che si inginocchia sulla tomba; la pioggia cade a dirotto mentre il rosso stinto del bouquet scorre lungo la bara di Elizabeth, come la lacrima di sangue sulla guancia del Cristo all’inizio.
Molte sono le curiosità del video. L’assolo di Slash viene considerato uno dei più grandi assoli mai composti. In realtà, nel brano, di assoli ce ne sono tre, ma curiosamente i primi due vengono considerati uno unico, diventando di fatto, il capolavoro che tutti ricordano.
Un decimo del budget venne usato per costruire la piccola chiesa che vediamo all’inizio, dove Axl suona il pianoforte. Altra grossa spesa fu il vestito della Seymour, disegnato da Carmela Sutera, con scollo a cuore e gonna a palloncino. L’abito verrà copiato da molte spose.

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Making Of Estranged (1993)
Estranged è un pezzo di cuore che si strappa.
Per una serie di ragioni che andremo a capire, è l’unico dei tre video che non segue l’idea originale, ma proprio per questo merita qualche attenzione in più.
Poco dopo aver terminato le riprese, in una intervista Axl disse: «Ho scritto la canzone essenzialmente su chi sono, su come mi sento, sulla fine del mio matrimonio con Erin e sul fatto che non volevo che terminasse. È una cosa che faccio in molte altre situazioni, amicizie, famiglia o cose che sai che dovevano finire.»
Estranged parla di separazioni, dell’accettazione della fine, della scomparsa di quello stato di grazia legato all’amore. Si tratta della scelta di andare avanti o di lasciarti andare e permettere al dolore di consumarti.
Costato oltre quattro milioni di dollari, Estranged batte November Rain in fatto di budget faraonico, ma non ottiene lo stesso successo.
Se nelle precedenti puntate della trilogia il tono era ambizioso, qui si fa intimo. Axl in un’ altra intervista dichiara: «Non conosco nessuno che abbia realizzato un video simile, dove si mostra la propria distruzione emotiva e il processo per trascenderla». Certo, il video è dei tre il più emotivo e personale, e il fatto che Axl lo consideri una così accurata espressione del suo io interiore getta una luce sconcertante sull’intera produzione. Salta all’occhio a chiunque che spendere una cifra simile solo per erigere un monumento stravagante alle proprie persecuzioni è piuttosto perturbante.Sembra un brutto miscuglio di eleganza alla Mendes o Nolan e di melodramma trash alla Tommy Wiseau.
In Estranged tutto è rarefatto, sembra un sogno dove i personaggi sono quasi tutti di colore, tranne Axl e una bambina bionda e Slash che salta fuori da un mare in tempesta come un salmone controcorrente. Appaiono anche una petroliera a grandezza naturale dalla quale Axl tenta il suicidio buttandosi in mare, e dei delfini magici a sottolineare la struttura onirica del video. Il tentativo di rendere reale il tutto lo fa una squadra SWAT e molte immagini di Axl che sembrano suggerire che dopo Mayne, ora la trasformazione è in Jesus.
Tutto questo per una canzone che non è famosa come le altre due; che prevede sei movimenti diversi; nessun coro riconoscibile, e conta ben ottocento assoli di chitarra.
Il problema del video è la storia. Sembra che un demiurgo stranito abbia preso spezzoni di concerto, immagini digitali, frammenti di un paradiso cinematografico e ne abbia fatto frullato. Un po’ come nella testa di Axl, la confusione regna sovrana. Però… quella faccia di Charles Manson sulla T-Shirt che passeggia addosso ad Axl è una meraviglia.
Nel luglio del 1993, qualche mese prima dell’uscita di Estranged, i Guns N Roses avevano appena terminato un tour mondiale di ventotto mesi, e il nostro Axl spesso era scoppiato: costringeva la band a salire sul palco anche con due ore di ritardo; rissava con il pubblico; lasciava a metà i concerti. A questo crollo psicotico di Axl, si aggiungono fans che insorgono, la stampa contro, dichiarazioni sconcertanti del frontman. Ma è già da tempo che il problema esiste. Già nel 1991 in un articolo dello SPIN intitolato Guns N ‘Neuroses si legge: «nel bel mezzo di un successo pazzesco sono stati tossicodipendenti, alcolizzati, paranoici, omofobi, razzisti, xenofobi, spietati, violenti, una minaccia per la libertà di stampa e un cazzo in culo per quasi tutti».
Nelle intenzioni di Axl, il terzo capitolo doveva essere conclusivo in modo armonico, però qualcosa, o meglio, tutto è andato storto. Per i fans meno attenti del gruppo solo Don’t Cry e November Rain sono storie degne di nota, forse perché la musica è, oltre che intensa e dolce, anche piena di virtuosismi che non passano inosservati e i video sono due piccoli capolavori filmici. Anche chi non ama particolarmente il gruppo, trova difficile non ritenere questi due brani, pezzi di storia indelebile.
Ma noi che con i Guns ci siamo cresciuti, suonando delle invisibili chitarre sugli assoli di Slash o ballando ondeggiando il bacino alla Axl Rose, beh per noi, Estranged, con i suoi assoli struggenti, la voce di Axl così piena di dolore e sentimento, e che magari non vanterà un video all’altezza dei primi due, per noi Estranged è una corsa senza fiato, una nottata in auto verso il mare; è l’attesa della telefonata che ti svolta la vita, è la rabbia di un addio. È la certezza che se un qualche dio avesse voglia di cantare una canzone, sceglierebbe Estranged.
Editing di Livia Del Gaudio
Diana Chiarin, veneziana, classe 1969. Ha pubblicato con Helvetia Editore due collettivi e nei primi mesi del 2024 esordirà con il suo primo romanzo per Mondadori. Dice: Nella mia libreria dello spirito, vorrei che il mio nome giacesse vicino a quelli di Haruf, Offut, Mencarelli, Foster Wallace o la mia adorata Plath, anche se temo finirò nella bancarella dei libri in omaggio con un fustino di detersivo.





«Use what inspires you. A pair of socks is no less suitable to make a painting with than wood, nails, turpentine, oil and fabric»1.
Così affermava Rauschenberg, uno dei maestri della tecnica del collage, che parte negli anni Cinquanta dalle composizioni classiche di ritagli di giornali, fotografie, animali tassidermici fino ad arrivare ai Combines (1954-1962), una serie di lavori in cui combina elementi pittorici con elementi scultorei recuperando la tridimensionalità e maneggiando oggetti recuperati per le strade, per le discariche di New York, pensati come oggetti raccolti dalla collettività che estrapolati dal loro contesto diventano una cosa nuova.
Anche se viene considerata una pratica moderna, quella del collage è un’attività ludica antichissima, ripresa agli inizi del Novecento per la creazione di opere d’avanguardia, tra tutti, dagli esponenti del Cubismo con i loro papiers collés, dai Surrealisti, dai Futuristi e dai movimenti Neo-Dada e della Pop art. La sua diffusione rappresenta un momento significativo della storia dell’arte considerata l’eccezionale libertà espressiva non solo dell’artista, ma anche di chi osserva. Il primo recupera la materialità, la realtà oggettuale, e utilizza elementi di varia provenienza, anche tra i più estranei l’uno dall’altro (foto, carte da gioco, tessuti, segni lessicali, manifesti) che decide di far vivere nello stesso spazio simbolico. In tal modo le vie di esplorazione sono inesauribili attraverso le forme, le epoche, i materiali.
Allo stesso tempo, l’osservatore può leggere l’opera stabilendo un principio o una fine, dall’alto, dal basso, in diagonale, a ritroso, lasciando stimolare ogni volta la sua comprensione immaginativa, predisponendosi all’imprevedibile.
L’artista Graziano De Leo raccoglie segni, tracce, salva l’esausto grazie al gesto associativo. Un linguaggio espressivo, quello del collage, che a volte elimina ogni significazione, altre diventa racconto, conferendo all’artista la posizione di io narrante che cerca di stabilire un (suo) ordine attraverso una grammatica e una sintassi visiva che lavora con il frammento, dove un assemblaggio che appare casuale e puramente arbitrario recupera senso nella sequenzialità ora per contrasto ora per armonia, finanche contraendo o dilatando il tempo che passa tra un’immagine e un’altra proprio come avviene in una (de-)costruzione narrativa.
Il collage sopravvive in tutta la sua aderenza al contemporaneo restando una straordinaria risorsa verso l’interpretazione dell’epoca odierna, dove la produzione e la fruizione estetica è continuamente esposta al flusso virtuale e mediatico frammentato.
Maria Teresa Rovitto
1 «Usa ciò che ti ispira. Per realizzare un dipinto un paio di calzini non sono meno adatti di legno, chiodi, trementina, olio e stoffa» K. Ruhrberg, I. Walther, J.W. Gabriel, Art of the 20th Century, Part 1, Painting, Taschen, 2000
Graziano De Leo. In un’altra vita è stato una penna. Scrive lettere, manca appuntamenti, ritaglia tempi e riviste senza epoca. Si frequenta con i film a patto che non se la tirino. Ha una comitiva di libri pronta a sostenerlo. Usa la carta per lasciare qualsiasi tipo di segno ed è lei il suo bianco assegno. L’arte lo interessa in ogni veste a patto che gli lasci sassolini nelle scarpe.
Grazie, Diana!
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