Completo Camagüey / The Whole City

di Legna Rodríguez Iglesias

Traduzione di Silvia Dammacco

© Armando Guerra, Camagüey. Dalla serie La tierra

Parlavamo di sogni, ultimamente, seduti attorno a un tavolo. Le altre mangiavano; io bevevo una bevanda tipica del mio paese. Visto che non so preparare cocktail, ne approfitto. Il bicchiere era colmo di cubetti di ghiaccio così iniziai a mordere voracemente la piantina, come se questo piccolo stelo e queste minuscole membane contenessero le memorie, quelle primordiali. Mangiai anche il limone.

Raccontavo che nei miei sogni accadono cose di Miami che succedono a Camagüey. Entro in un supermercato e compro tovaglioli di carta, poi esco sul lato di calle República e mi fermo di nuovo guardando la gente allontanarsi da Plaza Rancho Luna o Las Ruinas o Maceo, all’angolo dove aveva casa in affitto Bárbara Oliveira e dove inizia il mio romanzo Las analfabetas. La gente che vedo allontanarsi però non è di lì, sono venezuelani o colombiani o emigrati cubani.

© Armando Guerra, Camagüey. Dalla serie La tierra

La gran parte dei cubani qui a Miami sono dell’Avana. Sentono la mancanza dell’Avana e tornano a l’Avana e visitano i luoghi dove hanno vissuto o dove amavano stare. I camagueiani che conosco non tornano tanto a Camagüey. Io per prima non ci sono tornata per anni anche se quando ricevetti la residenza nel 2019 sospesi l’abbonamento dalla metro della Collins e partii. Passai da l’Avana e proseguii verso Camagüey e mi feci sei tatuaggi, per sicurezza. Uno mi provocò una linfangite e si cancellò.

Amo andare a casa di Gustavo e Oneida per parlare nella nostra lingua, che è una lingua romantica fondata sui ricordi. Tutti e tre creiamo un’atmosfera romantica e ricordiamo tantissime cose. L’altro giorno ho trovato su Facebook un ragazzo conosciuto mentre camminavo tra i portici di Avenida de Los Mártires, tra Andrés Sánchez e Tomás Betancourt. Lo ricordo perfettamente perché su Andrés Sánchez viveva la mia migliore amica e su Tomás Betancourt svoltavano gli autobus. Quindi questo ragazzo mi chiede l’amicizia su Facebook dopo cinque minuti di conversazione su WhatsApp e io accetto la richiesta come fosse l’ultimo anno del ventesimo secolo.

© Armando Guerra, Camagüey. Dalla serie La tierra

Le foto di Armando Guerra sono membrane vegetali di una bevanda tipica in bicchiere di cristallo. Sarebbe bello se Armando vivesse a Miami per poter parlare di questo, di Camagüey nelle sue foto, che non è come parlare semplicemente di Camagüey, o di Camagüey nei film di Gustavo Pérez. Camagüey è la stessa ma quello che loro dicono no. 

© Armando Guerra, Camagüey. Dalla serie La tierra

Chiesi ad Armando Guerra le sue foto di Camagüey per parlare di Camagüey a mezzanotte. Servii due dita di Havana Club invecchiato senza ghiaccio che mi aveva portato Marcela da l’Avana e iniziai a guardare i colori delle fotografie. Erano i colori di Armando Guerra, il fotografo cubano che ritrae luoghi, vuoti, moltitudini, come Kampala, Sumatra, Pantanal, Panama City, Miami, Malmö, Cartagena, Manila, Oaxaca, Camagüey. Ed erano i colori della città dove tutto avviene per la prima volta. Santo Dio, Camagüey.

© Armando Guerra, Camagüey. Dalla serie La tierra

Il fatto è che mi è sempre piaciuto dire che sono nata a Camagüey. E la gente domandava dove, a Camagüey Camagüey? E io rispondevo sì, a Camagüey Camagüey. E loro sì ma dove? E quando dicevo dove dicevano di no, che quello non era il centro. Perché esiste un tipo di camagueiano che dà molta importanza al centro e un tipo che dà importanza alle nespole mature che si sciolgono in bocca quando addenti la polpa. Mio padre e mia madre mi hanno insegnato a mangiare le nespole senza pulirle, buccia compresa. Ed è esattamente così che le mangio, ovunque ne trovi.

© Armando Guerra, Camagüey. Dalla serie La tierra

Dev’essere per questo che a volte, quando incontro qualcuno o quando devo salutarlo, mi rivolgo in seconda persona, come se fossi un’altra, e ripeto sorridente la famosa frase di benvenuto alla città dai quattro punti cardinali: Ti ama e ti abbraccia, Camagüey. Questo ho detto ieri a Jamila, invece di dirle ti voglio bene o di salutarla in qualsiasi altro modo. E Jamila si è ricordata di un’altra frase pomposa, esagerata, che usiamo a Camagüey per dire che abbiamo concluso o che abbiamo terminato qualcosa con successo.

© Armando Guerra, Camagüey. Dalla serie La tierra

Eravamo forti quando uscivamo dal Cinema Guerrero tra un film e l’altro durante il Laboratorio di Critica Cinematografica alla ricerca di qualcosa per fare uno spuntino al Mogambo. Quel qualcosa erano ciambelle a quaranta centesimi, praticamente per due vecchi pesos ci servivano cinque ciambelle. Eravamo forti quando ci incontravamo i venerdì in Plaza del Gallo per andare a mangiare hamburger a La Sombrillita, senza fare code perché tanto ci conoscevano. Eravamo fortissimi se riuscivamo ad entrare a La Volanta la sera, al Festival del Teatro.

© Armando Guerra, Camagüey. Dalla serie La tierra

Eravamo forti e bravi durante i carnevali, mangiando smodatamente funghi nell’oscurità di calle San Pablo, provando a volare praticamente su un asse e finendo semplicemente a ridere. Eravamo forti andando in bici senza mani in piena Avellaneda. E ai concerti e alla Scuola d’Arte e al Terminal di Ómnibus e all’Amalia Simoni con la dengue e alla fermata Joaquín de Agüero aspettando la linea notturna alle prime ore del mattino, e persino all’impresa di pompe funebri de La Vigía quando morì Ángel Iglesias e addirittura al cimitero seppellendolo.

© Armando Guerra, Camagüey. Dalla serie La tierra

A chi non c’è mai stato posso dire esattamente quello che ho imparato in geografia: Camagüey è enorme e rotonda e si trova al centro della mappa in quella parte che fa come a semicerchio. Il comune principale si chiama come la provincia, per questo la gente chiede se sei di Camagüey Camagüey, perché c’è Camagüey provincia e Camagüey comune. Ed è per questo che rispondo che sono di Camagüey Camagüey, perché vengo dal comune principale e anche dalla provincia. Il comune si trova al centro, lontano dalle spiagge del sud e da quelle del nord. Per andare al mare dovevamo attendere le vacanze e affrontare un viaggio più o meno sgradevole. La gente scherzava a tal proposito ripetendo una frase due volte, la prima con punto esclamativo e la seconda con tono affaticato: Andiamo al mare! Torniamo dal mare.

© Armando Guerra, Camagüey. Dalla serie La tierra

In alcune superstrade di Miami ci sono piante molto simili a quelle che vedevamo sulla strada che ci portava al mare. Dovevamo svegliarci alle tre del mattino, lasciare il pentolame del cibo preparato la sera prima (riso giallo con pollo, spaghetti che nuotavano nella salsa di pomodoro o pane e maionese) e uscire all’alba camminando fino alla fermata che si trovava a svariati chilometri da casa nostra e dove arrivavamo già sudati ma felici. Salivamo sull’autobus Girón con la metà dei sedili rotti e l’autista accendeva il motore: due ore di viaggio fino a Santa Lucía.

© Armando Guerra, Camagüey. Dalla serie La tierra

Quando qualcuno va via da Miami tutto questo mi ritorna alla mente e vorrei dirgli che non troverà piante come queste nelle superstrade della nuova città. Non ci sono piante simili nelle superstrade di New York, né nelle supestrade di Chicago e nemmeno in quelle di Atlanta. A chi importa di uno stupido cespuglio che probabilmente non ha nemmeno mai notato. La verità è che molte delle persone più belle che ho conosciuto a Miami, al di lá delle superstrade e del traffico infernale, in un baleno si trasferiscono in un’altra città, per una ragione o per un’altra (Ingeborg, Pedro Navarro, Sarah, Isadoro Saturno).

© Armando Guerra, Camagüey. Dalla serie La tierra

Nelle foto, un Ulisse di pianura mostra Gamagüey nell’arco delle ventiquattro ore. Riesce a catturare la vita, come sorge e come si espande oltre la povertà, la tristezza o l’apatia. Come un luogo si sveglia al sorgere del sole e come il tempo si esaurisce in assenza della luce. Ma questa assenza di luce è una soglia spalancata, il sogno di qualcuno che non c’è più. Che non esiste più.

© Armando Guerra, Camagüey. Dalla serie La tierra

Ci sono persone che pretendono che gli altri si identifichino. Persone che ci credono e che sentono il bisogno di identificarsi e che anche gli altri lo facciano. A volte però le mie identità non sono tra le più utili. Oltre ad essere madre e a scrivere cose di poca importanza, io mi identifico in Camagüey.  Con l’albero di guava nano piantato da mia madre nel patio (o da mio padre?), con mia madre che dice il fiore è morto, con Luisa Roselia che dice sto con le spalle al muro, con Ángel Iglesias che chiede a Luisa Roselia di versargli un po’ di latte sul riso. Non ho mai capito come, eppure gli piaceva. E mi identifico con questo ricordo unico, il ricordo di un uomo che pranzava così, con il cappello in testa.

C’è sicuramente dell’altro ma direi che basta così. Ho finito. Completo Camagüey1

Il racconto originale, in spagnolo, pubblicato il 31 ottobre 2023, può essere letto su el estornudo – alergias crónicas, a questo link: https://revistaelestornudo.com/completo-camaguey-the-whole-city/

Legna Rodríguez Iglesias è nata nel 1984 a Camagüey, Cuba, e vive a Miami, Florida. Ha scritto poesie, racconti, romanzi, libri per ragazzi e opere teatrali. Le sue opere hanno ottenuto molti riconoscimenti, tra cui il Premio Paz 2016 per la raccolta poetica Miami Century Fox. La mia fidanzata preferita era un bulldog francese è stato tradotto da Federica Niola per Bompiani nel 2019.

Armando Guerra. Il suo lavoro è incentrato sulla dualità o sulle molteplici letture della realtà a partire dall’identità personale. Si identifica con l’idea di Peter Bruegel secondo cui i punti di svolta nella storia avvengono nei momenti più ordinari. Adora il fatto che il dipinto in cui questa idea è più evidente potrebbe non essere nemmeno suo. È un regista di documentari cubano-spagnolo e gestisce Mambo Panda da Valencia, Spagna.

  1. N.d.T.: si tratta di un’espressione che è parte della tradizione cubana e che indica una situazione ormai conclusa, compiuta. Il 17 maggio del 1959 iniziò a Cuba, per mano di Fidel Castro, un ampio processo di espropiazione di beni su tutto il territorio. Nel 1966 le autorità goverantive della provincia di Camagüey nazionalizzarono tutte le attività illegali, bar, ristoranti privati della provincia, confiscando svariati beni.  Il tutto avvenne in una notte attraverso un’operazione lampo della polizia nazionale che diede alla popolazione l’impressione di un’operazione  “completa”, “definitiva”. “Completo Camagüey”è anche il titolo di un romanzo di Daniel Chavarría e Justo Vasco (editorial Letras Cubanas, 1983). ↩︎

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