di Maria Teresa Rovitto

© Vittoria Groh
Dare le spalle allo specchio
Un’occasione per seguire gli indizi di Nancy
di Maria Teresa Rovitto
«L’interiorità ha luogo nello stesso posto dell’esteriorità e da nessun’altra parte. Daremo le spalle allo specchio e non lo useremo come conferma della nostra presenza. Non scoprirete nulla di voi allo specchio».
Ho cambiato città e, quindi, scuola di danza. Dopo un’accurata ricerca, ho scelto quella che mi proponeva nuovi modi di fare le cose. So bene che non ci sarà una nuova me, proposta dalla retorica che scomodiamo quando cambiamo abitudini, e meglio così; sarebbe faticoso e non lo vorrei alla mia età. Raccontarmi come a una persona appena conosciuta, narrar(mi) la vita, seppure a grandi tratti, apparire disponibile a ogni mia voglia, dimostrare interesse nei miei confronti, far(mi) vedere l’aspetto migliore, fingere di non vedere quel che di sé disturba ancora. Era l’occasione per concentrarmi su una costante, il corpo, unica condizione che ci è imposta per vivere. Così avrei potuto accogliere le trasformazioni reali che sono, poi, quelle impercettibili, necessarie, naturali; niente di già conosciuto.
Mi era capitato di non usare gli specchi della sala nelle settimane prima di uno spettacolo, ma non era mai stato un metodo di lavoro. Da quel momento, invece, avremmo seguito questa pratica per cinquantotto giorni, tanti quanti sono gli indizi sul corpo di Jean-Luc Nancy1, usati come guida per esplorare lo spazio nel corpo e intorno, senza la distrazione del nostro riflesso.
L’organizzazione del nostro peso apre nuove possibilità estetiche, cognitive e pragmatiche, e genera una risonanza affettiva tra i corpi che si distinguono, in fondo, per velocità e lentezza, moto e riposo, piacere e dolore. Concentrarsi sul proprio peso e guardarsi solo nell’altro, senza rischiare il sonno indotto dal nostro riflesso. Mentre la geometria dello spazio veniva alterata come previsto dal disegno coreografico, avremmo dovuto imparare o inventare nuovi modi di misurare la distanza tra noi. Sentire l’altro alle spalle, vicino o lontano, senza l’aiuto della sua proiezione, accogliere un ordine empatico che permette di capire ciò che l’altro pensa grazie al movimento del suo corpo, che il riflesso coglierebbe sempre e comunque in ritardo.
- Il corpo è materiale. È denso. Impenetrabile. Se lo penetriamo si smembra, si buca, si lacera.
- Il corpo è materiale. È a parte. Distinto dagli altri corpi. Un corpo comincia e finisce contro un altro corpo. Anche il vuoto è una specie molto sottile di corpo.
Il corpo è ciò che si separa dal resto. Se si parla di penetrazione senza specificare il motivo (medico, militare, ludico) o l’oggetto, si sta parlando di amore. In amore non servirebbero specificazioni. Per via della penetrazione questo sentimento rischia di favorire lacerazione o assimilazione, nella città nuova come nella città vecchia. Allora specifico. Specifico le parti somatiche e dove sono io nel mio piede, nella mia mano, nel mio sesso, nel mio orecchio.
5. Un corpo è immateriale. È un disegno, è un contorno, è un’idea.
Penso alla forma delle cose, a una certa corrispondenza tra ciò che crediamo e ciò che è, tra il corpo materiale e quello immateriale. Elaboro un sintetico campo semantico intorno alla pelle: carezza, solletico, ferita, prurito, irritazione, eccitazione, prende il sole, il freddo, il caldo, il vento, la pioggia; incisione di segni dall’interno: rughe, escoriazioni; dall’esterno: screpolature, cicatrici, scottature, tagli. C’è un’idea e poi c’è la pelle.
Nella danza non si parla di forma ma di dinamica. Bisogna cambiare direzione nello spazio alla ricerca di quella corrispondenza tra corpo materiale e immateriale; il movimento continua anche dopo che il corpo si ferma.
19. La nuca è dritta e i cuori da sondare. I lobi del fegato ritagliano il cosmo. I sessi si bagnano.
All’alba e al tramonto la città nuova è uguale alla città vecchia. In mezzo ci sono tutti i diversi segnali che i corpi sono capaci di mandarsi. Quelli possono cambiare. Quelli possiamo sceglierli.
23. Dal corpo la testa si stacca, anche senza doverlo decapitare. La testa è di per sé staccata, troncata. Il corpo è un insieme, è articolato, composto, organizzato. La testa è fatta unicamente di buchi e il suo centro vuoto rappresenta assai bene lo spirito, il punto, l’infinita concentrazione in sé. Pupille, narici, bocca, orecchie sono buchi, evasioni scavate fuori dal corpo. A parte gli altri buchi, quelli di sotto, questa concentrazione di orifizi si tiene al corpo mediante un canale esile e fragile, il collo attraversato dal midollo e da qualche vaso pronto a gonfiarsi o a rompersi. Un’esile attaccatura che piegandosi collega il corpo complesso alla testa semplice. Nessun muscolo in essa, solo tendini ed ossa insieme a una sostanza molle e grigia, circuiti, sinapsi.
Impariamo a gestire il corpo, a sentirne gli appoggi, a percorrerne la verticalità. La gestione del corpo comporta anche quella della testa. Anche se sembrano due attività separate: la prima un bisogno e la seconda una pretesa. Pretendere di gestire la testa – che è corpo. E che è quindi interessata dalle stesse attività: spasmi, contrazioni, distensioni, torsioni, soprassalti, singhiozzi, scariche elettriche, distensioni, contrazioni, conati, sussulti. Ancora, testa che sanguina, si bagna, si secca, spurga, mugugna, sospira. Anche il linguaggio dei sintomi allora sarà identico.
Al quarantatreesimo indizio Nancy si chiede:
43. Perché degli indizi piuttosto che dei caratteri, dei segni, dei marchi distintivi? Perché il corpo scappa, non è mai sicuro, si lascia supporre ma non identificare […] Potrebbe essere solo il doppio di quell’altro corpo piccolissimo e vaporoso che si chiama anima e che esce dalla sua bocca quando muore. Disponiamo solo di indicazioni, di tracce, impronte, vestigia.
Non vedere allo specchio il riflesso del proprio movimento spinge il corpo a una crisi – ciò che vediamo non basta. Il corpo è l’apertura al resto del mondo, il grado di esposizione, e non permette alcuna riduzione a sé. Non che lo specchio sia un problema, è solo che a volte non sappiamo farne a meno. Alla fine dei cinquantotto giorni, seguendo gli indizi di Nancy sul corpo, non dovremmo più avere nostalgia del suo riflesso. Ho scoperto che del mio doppio le parti che mi erano mancate di più erano state le giunture.
- Jean-Luc Nancy, 58 indizi sul corpo, in Indizi sul corpo, ed. Ananke, Torino, 2009 ↩︎