Expres. 16 gennaio 2000

di Mihnea Mihalache-Fiastru

Traduzione di Clara Mitola

© Massimo De Vita

Abbiamo guardato la televisione per tutta la sera. 

– Lui sì che è stato un grand’uomo! mi dice Vali. 

Tutti i canali trasmettevano la notizia dell’assassino di Arkan, un amico di Vali di cui non mi ha raccontato granché. 

– Amava il suo paese, era un grande patriota. E per quello è anche tornato in Jugoslavia, quando l’ho conosciuto io nell’88 si era già stabilito a Belgrado. Ma era sempre a Vienna, aveva affari, amici, veniva alle feste, noi della zona eravamo tutti in contatto con lui, c’erano anche bulgari e ungheresi. Mi ha detto molte volte di andare con lui a Belgrado, di lavorare insieme, che conosceva molta gente, aveva dei casinò, insomma, le cose gli andavano bene, anche se i soldi più che altro li faceva in Europa. Ma per farli circolare nel suo paese, era un nazionalista convinto. 

– Ma in Jugoslavia non potevi andarci, gli ho detto. 

– Non potevo perché mi avrebbero preso, ovviamente, mi avrebbero rispedito direttamente in Romania. Voglio dire, mi fidavo dei contatti che avevo lì, ma le cose non sono mai sicure. In Austria non c’erano problemi, qualsiasi cosa fosse successa ci sarei rimasto, nessuno mi avrebbe riportato indietro. Mi dispiace per lui, e comunque i servizi segreti americani l’hanno ammazzato, la CIA! 

– Dici? ho domandato ma senza ricevere nessuna risposta. È sempre stato così, per lui una discussione finisce quando non ha più niente da dire, e non conta se tu vuoi continuarla o no. 

Vali è cambiato completamente dopo la nascita di Tana. Era preoccupato perché in Romania non avevamo niente e bisognava mettere da parte i soldi con cui, un giorno, saremmo andati via. Lui avrebbe potuto farlo in qualsiasi momento con il lavoro che aveva, ma non avrebbe fatto un passo senza di noi. Fino a quando non fosse arrivato il momento in cui saremmo partiti tutti insieme, ha deciso di lavorare di nuovo all’estero. Nell’estate del 1981 è andato a lavorare in un cantiere in Libia. Il nostro piano era di mettere da parte quanti più soldi per poterci sistemare. Questo progetto lo conoscevamo solo noi e non ne abbiamo mai parlato con nessuno. Non sapevo come gestisse la situazione e come mettesse da parte i soldi, perché quando mi telefonava dalla Libia non potevamo parlarne. 

Nel ‘79 Vali ha ottenuto l’assegnazione di un bilocale in un bloc nuovo, in costruzione sull’incrocio di Bucur Obor. Ci siamo trasferiti lì nel 1980. Ci siamo rimasti fino al 1992, quando ci siamo trasferiti di nuovo, questa volta in un appartamento con 4 camere al settimo piano di un bloc su Bulevard Unirii, con vista sulle fontane e su Casa Poporului. Nel 1980 invece abitavamo al terzo piano, il bloc aveva sei appartamenti per piano e il nostro affacciava sulla strada, verso l’incrocio e l’emporio Bucur Obor. L’ufficio postale per i pacchi internazionali era abbastanza vicino a casa nostra e all’inizio Vali ci ha inviato dei pacchetti-test con cose che, se fossero state scartate o rubate, non ci avremmo perso molto. Non mi aspettavo che i pacchi non arrivassero interi, e forse nemmeno Vali. Era il 1981 e il controllo sulla popolazione era cresciuto rispetto agli anni ’70. A volte succedeva che aprissero i nostri pacchi. Sono arrivati tutti a destinazione, sola una volta ci hanno rubato dei dolci sotto Natale, sarà stato il 1985 o il 1986. Non mi è dispiaciuto nemmeno. Vali ci spediva moltissimi dolciumi e cioccolata, che dividevo tra Tana e i figli di mio fratello Valeriu, Andu e Cosmin. Fin dai primi mesi avevamo così tanti dolci e Toblerone, Mars, Snickers, Bounty, M&M’s, Milka, Ritter Sport e i costosi cioccolatini Lindt e Leonidas, gelatine, marshmellows, Kinder e via dicendo, da doverli conservare in dispensa, anche perché non li avremmo mai finiti tutti prima che scadessero. Poi ha cominciato a spedire caffè, sigarette e bevande, soprattutto bevande alcoliche. Avevamo bottiglie di cui non avevo mai sentito, whisky, vodka, tequila, rum, gin, superalcolici, perché valevano di più, e poi caffè, caffè solubile e stecche di sigarette, sebbene io non fumassi, di Camel, Marlboro, Kent, Salem, John Player Special, Rothmans, H&B, Dunhill. Quando ha inviato le prime sigarette, ho capito che Vali pensava avrei potuto usarle come merce di scambio per diversi favori. In effetti, ogni tanto mi capitava di regalare una bottiglia o un pacchetto di sigarette ma soprattutto le vendevo e anche a buon prezzo. Guadagnavo 300 lei per una bottiglia di Havana Gold originale cubana, o per una di gin Hendricks. Con alcune edizioni speciali di whisky, invecchiati 18 anni o più, guadagnavo anche 1.000 lei e una volta mi ricordo di aver venduto a un generale una bottiglia di tequila a 1.200 lei. L’ha presa solo così, perché non ne aveva mai sentito parlare. 

© Massimo De Vita

Quando Vali è tornato in Romania la prima volta, nella primavera del 1982, avevo già messo da parte quasi 70 mila lei, solo con quello che spediva lui. Quando è tornato a casa, non mi ha permesso di toccare l’argomento soldi e merce, e ogni volta che ci provavo, lui si portava l’indice alle labbra e mi faceva segno di non continuare. Una sera, in aprile, siamo usciti con Tana in un parco a Colentina e solo allora mi ha messa al corrente. Mi ha detto di non parlare mai in casa di progetti e soldi perché di certo c’erano dei microfoni. Gli ho domandato come fosse possibile che qualcuno avesse installato dei microfoni e mi ha risposto che entrano in casa e li mettono nei ricevitori o in altri posti, nell’ultimo periodo perfino le radio erano usate come microfoni. 

Mi ha detto di stare attenta perché di certo sarei stata contattata dalla Securitate e che mi avrebbero fatto domande su di lui, su cosa so, cosa fa lui in Libia, e io avrei risposto che lavora in cantiere, che ci spedisce di tanto in tanto pacchi di dolci per Tana e che tutti i romeni che lavorano all’estero lo fanno. Se mi chiederanno alcolici o sigarette o qualsiasi altra cosa, lascerò che prendano quello che vogliono senza commentare. Mi ha dato diecimila dollari perché li nascondessi e io gli ho detto di aver messo da parte almeno 70 mila lei. È stato contento, si è reso conto che capivo ciò che voleva e che entrambi spingevamo nella stessa direzione. Nel nostro appartamento c’era un corridoio lungo, ricoperto di carta da parati a triangoli marroni e beige. All’altezza del bagno esisteva una fessura da quando c’eravamo trasferiti. Anche la vasca era tappezzata e così ci siamo fatti un bel deposito per i soldi, che raggiungevamo senza fare rumore, nel caso in cui ci fossero stati dei microfoni installati in casa. Quando Securitate e Milizia hanno fatto irruzione, con me e Tana in casa, nel 1988, ero certa non avessero la minima idea di dove nascondevamo i soldi. Hanno trafficato per tutta la casa, hanno rotto il parquet, martellato il soffitto, ma non hanno trovato niente. 

Quella sera, mentre tornavamo a casa dal parco, Vali mi ha detto che non avrebbe mandato tutti i soldi a casa, che non erano al sicuro in Romania, e neppure in Libia, che avrebbe cercato di dividerli, metà da una parte e l’altra metà in un altro posto. Mi ha domandato se potessimo fidarci di mio fratello Valeriu, gli ho detto di sì e allora mi ha incoraggiata a tenerlo al mio fianco e a farmi aiutare con le vendite. L’ultima cosa che mi ha detto quella volta, mentre tornavamo a casa in tram, è stata che si sarebbe trasferito in diversi cantieri della Libia, che progettava di produrre alcolici e venderli nei cantieri. In Libia con l’alcol potevi guadagnare molti soldi. L’idea di Vali era semplice, voleva produrre lì țuică o palincă aromatizzate e molto alcoliche, per non occupare spazio. Tutta la produzione sarebbe stata su piccola scala ma concentrata, soprattutto perché, come cittadino straniero, poteva comprare l’alcol puro con cui aumentare il tasso alcolico della palincă.

Le sue idee e i suoi progetti mi spaventavano, però sapevo ed ero convinta a mia volta che fosse la cosa giusta, perché dovevamo mettere da parte quanti più soldi e poi capire come lasciare il paese. 

Per noi, Ceaușescu era per sempre. La nostra sola possibilità era lasciare la Romania illegalmente. Eravamo pronti. Vali mi ha detto allora di non investire in tecnologia, che se ne sarebbe occupato lui, di non spendere soldi inutilmente per un Telecolor o un Elcrom color, che quando tornerà la prossima volta, nella primavera o nell’estate del 1983, porterà lui tutto quello che ci serve. 

© Massimo De Vita

Nel luglio o nell’agosto nel 1982, un collega del tribunale mi ha proposto di venire a trovarci una sera di quelle. La sua fidanzata era appena tornata da un cantiere di prospezioni in Sudan e aveva qualcosa per noi, per Tana, una maschera tradizionale di legno. Ho accettato, anche se ogni volta che qualcuno veniva a trovarci mi aspettavo fosse la Securitate. Quella volta non mi ero sbagliata; la discussione è stata sorprendentemente trasparente e diretta. Con il pretesto di quel bel regalo, che conserviamo ancora oggi, la fidanzata di Daniel Ionescu dell’archivio del tribunale, l’ufficiale operativo che si è presentata col nome di Elena Vicol, mi ha posto una serie di domande legate alle attività di Vali nei cantieri della Libia. Mi ha chiesto quanto spesso parliamo, se mi raccontasse dei suoi colleghi romeni e se fossi d’accordo a scrivere una volta al mese un rapporto con tutti i dettagli delle conversazioni con mio marito. 

Mi sono scusata e ho rifiutato la collaborazione, spiegandole che parlo piuttosto poco con Vali, forse una volta ogni due settimane, che le nostre conversazioni sono brevi e poco frequenti, e di natura strettamente personale, e che non posso condividere storie legate solo alla vita familiare, com’era il nostro caso. La signorina Vicol, una ragazza di massimo 25 anni, mi ha chiesto se le nostre conversazioni riguardassero solo la famiglia, e ho risposto subito: 

– Assolutamente! 

Non ha insistito e l’argomento non è stato più toccato per il resto della visita. 

Ho cercato babysitter di ogni tipo per Tana, ma in quel periodo le uniche disponibili a stare con i bambini piccoli erano pensionate oppure donne di altre città. Un anno, ho cambiato sei o sette babysitter fino ad arrivare ad Anica, una signora di 61 anni di Colentina. È stato un anno difficile per Tana, che si è anche persa per la città due volte con due babysitter diverse. Ho ripreso a lavorare al Tribunale del Settore 3. I pacchi di Vali continuavano ad arrivare e ora, oltre ai dolci, spediva vestiti, molte tute sportive con immagini stampate e che in Romania erano rarissime. Quanto più le immagini erano colorate e in rilievo, tanto più erano ricercate e costose, si arrivava anche a 700 o 800 lei per una tuta. Mio fratello Valeriu era allenatore di pallanuoto al Floreasca. L’ho invitato al ristorante Doina e gli ho chiesto se ci stava a vendere delle cose per me a pagamento, il 30% del totale. Mio fratello era uno sportivo, conosceva gente in città e avevo fiducia in lui, non ci avrebbe denunciato, al massimo mi avrebbe tirato qualche bidone, perché era sfaticato. Nell’inverno del 1982 ho incontrato Dan, un collega di Vali che era tornato dalla Libia per le feste e che mi ha portato un pacco enorme pieno di videocassette. Alcune registrate, altre vergini oppure originali con film, concerti e programmi. Aveva spedito decine di cassette. Dan è venuto da noi con una Dacia 1300 nera, con una targa a poche cifre, e mi ha lasciato il pacco.  

© Massimo De Vita

Nel maggio del 1983 Vali era di nuovo a Bucarest. Aveva portato con sé un televisore Panasonic e due videoregistratori Panasonic NV-788EG. È rimasto a casa due settimane, in cui ha voluto preparare me e mio fratello per un affare con le videocassette che aveva pianificato con Dan in Libia. La moglie di Dan faceva montaggi in televisione, alcuni programmi d’intrattenimento e film, e conosceva a sua volta qualcuno che poteva far arrivare le cassette sul mercato nero dei video. Noi dovevamo registrare le videocassette e darle a lei. Vali si è accordato con mio fratello per spedire anche a lui due videoregistratori tramite un collega, perché potesse registrare anche lui, però fino a quel momento avremmo dovuto cavarcela con i due che avevamo. Io e Vali volevamo che in qualche mese fosse mio fratello a occuparsi di tutto, mentre io l’avrei solo controllato. Noi ricevevamo i soldi da Ana, la moglie di Dan, 200 lei per ogni cassetta. Non so poi quale fosse la trafila. Io mi aspettavo che anche Valeriu contribuisse all’affare con le sue conoscenze, perché aveva la faccia tosta e immaginavo che avrebbe saputo dove infilarsi. 

Così siamo entrati nel mercato video all’inizio degli anni ’80. 

Valeriu si è mosso bene e spesso riuscivamo a vendere una cassetta da 180 minuti con due film o un film e un concerto, oppure solo concerti e programmi o cartoni animati, tre o quattro volte: una volta tramite Ana e due o tre volte tramite Valeriu. In questo modo una sola cassetta poteva valere anche 1000 lei, se la vendevi quattro o cinque volte. Noi abbiamo preso l’inizio del fenomeno, quando non esisteva un mercato locale e tutto era comprato all’estero. Le uniche fonti di videocassette erano i piloti d’aereo e i romeni che lavoravano fuori come Vali, oppure gli stranieri presenti nel nostro paese. Più tardi avrei scoperto che di mezzo c’erano anche i preti. Noi eravamo la prima mano, quella meglio protetta. Con mio fratello abbiamo deciso di tenere tutte le videocassette da lui, abitava vicino a noi, al primo piano di una villa nazionalizzata, su strada Tunari. 

Vali è tornato dalla Libia dopo due settimane, per poi tornare ancora solo nel 1985.

Il mercato video è fiorito dopo la metà degli anni ’80 e se riuscivi a rispettare certe regole, potevi guadagnare bene e molto facilmente. In casa avevamo già quasi 50 mila dollari ma non avevo paura, ero piuttosto sicura che non potesse succederci niente di male. Mi sbagliavo. Come sempre, i problemi sarebbero apparsi dove meno li aspettavo. 

Nel 1985, Vali è stato scoperto per la prima volta a produrre illegalmente alcol in Libia. Allora mi ha telefonato e mi ha detto che probabilmente l’avrebbero rispedito a casa. Alla fine, se l’è cavata perché distribuiva alcol a molte persone note e ne è venuto fuori solo con un richiamo. 

A Bucarest però si è scoperto che si occupava di alcol in Libia e forse la cosa ha disturbato.

Verso la fine dell’anno in tribunale sono venuti a trovarmi due soldati e un agente del servizio d’informazione estera, che mi ha domandato se fossi al corrente della produzione di alcolici di Vali, in Libia. Ho risposto come la volta precedente, che parliamo piuttosto di rado al telefono e solo della nostra famiglia e che non l’avevo più visto da due anni. Credo di avergli fatto pena, avranno pensato che mio marito mi esponesse a grandi pericoli senza che io ne avessi la minima idea: 

– Non le ha mai detto niente dell’alcol? mi hanno domandato 

– No, come avrebbe potuto dirmelo?! Compagni, non sono così ingenua, capisco che se mio marito mi avesse parlato dell’alcol, non sareste qui a domandarmelo. Lo sapreste già! ho detto e allora hanno riso. 

– Compagna Lăzărescu, mi ha detto il securista, sappia che non scherziamo, per quanto ne sappiamo il compagno Lăzărescu è stato scoperto a vendere alcolici in Libia, un paese in cui l’alcol è proibito, può essere condannato a morte per una cosa del genere, noi vogliamo aiutare lei e suo marito. 

– Vi ringrazio compagni ma davvero non so altro. Mi ha chiamata dalla Libia e mi ha confermato l’accusa di cui mi parlate e che forse sarebbe tornato a casa. Gli ho detto che l’aspetto e non so cos’altro dirvi. 

– A quanto pare produce alcolici con la frutta, con le arance, ha continuato. 

Vali non è più tornato quell’anno e nemmeno il successivo. I pacchi di dolci, sigarette e alcolici sono diventati sempre più rari, poi abbiamo ricevuto solo pacchi di dolci per Tana. I pacchi più grandi erano di videocassette, sapeva che ora guadagnavamo con quelle. Avevamo quattro videoregistratori in funzione tutto il tempo. In generale, gli apparati video in Romania, player o recorder, avevano almeno un sistema di riproduzione delle cassette, e quello era il PAL. Chi aveva videoregistratori con sistema SECAM o NTSC era professionista e decodificava le cassette, cosa che noi non facevamo, e di certo aveva anche un altro videoregistratore con sistema PAL. Un’altra cosa molto importante era la cassetta, se avevamo l’originale con il film che volevamo registrare, eravamo fortunati. Quanto più la copia era simile all’originale, tanto meglio sopportava le registrazioni ad alta qualità. Se avevamo la cassetta originale con il film, la prima copia era di ottima qualità, la successiva era di qualità inferiore, la seguente ancora più scarsa e così via, quanto più ti allontanavi dall’originale.  

Valeriu sostituiva i nastri delle videocassette. Si procurava i film da alcuni conoscenti e se la cassetta era di buona qualità o addirittura originale, la registrava, smontava la carcassa della cassetta originale, tirava fuori il nastro e lo sostituiva con quello registrato, cioè con la copia, mentre l’originale arrivava nella carcassa della cassetta vuota che aveva registrato e rimaneva a lui che poi restituiva una copia. 

© Massimo De Vita

Tra il 1986 e il 1987 molti avevano un videoregistratore, soprattutto a Bucarest. Un film nuovo continuava a essere merce preziosa però non era più davvero esclusivo. In quel periodo, da allora e fino alla Rivoluzione, le videocassette davvero preziose – una rara moneta di scambio – erano i film porno. Poi c’erano le animazioni per adulti, poi i cartoni animati per bambini. Se avevi videocassette con uno qualsiasi di questi generi, potevi guadagnarci un bel po’. Valeriu ha rinunciato ai film, ne teneva da parte qualcuno per sé o per noi, e di notte registrava incessantemente film porno. A volte registravo anch’io la sera, quando Tana andava a dormire. Mio fratello aveva la casa invasa di videocassette e una notte le ha trasportate in gran segreto da sua suocera, nel garage del bloc. Valeriu aveva otto o nove videoregistratori e sempre almeno quattro o cinque in vendita, alcuni comprati dai popi. I popi erano una parte importante del mercato video degli anni ’80, però erano quelli che si nascondevano meglio. Siccome sapeva muoversi e aveva conoscenze, mio fratello è riuscito ad avvicinarli e mi ha raccontato di essere stato una volta a casa di un pope, dove c’erano 23 scatole di videoregistratori ancora sigillate: 

– Almeno uno è in vendita? ha chiesto Valeriu quando è arrivato da lui. 

– Come almeno uno?! Sono tutti in vendita! Vieni che ti faccio vedere, gli ha detto il pope e l’ha portato in un deposito in cortile, dove aveva altri 12 video player in vendita, più economici. 

I preti erano la prima mano nel trasporto dei videoregistratori dall’estero, soprattutto dalla Turchia, ma anche durante altri viaggi che facevano con la chiesa. Quelli implicati nel mercato video erano collaboratori della Securitate, se non addirittura ufficiali, perciò erano intoccabili. Quando Ceaușescu ha deciso di fermare il traffico per la prima volta a causa della neve, le uniche vetture in circolazione oltre a quelle di partito e alle ambulanze, erano della milizia, dell’esercito e le auto del Patriarcato, di funzionari ecclesiastici e di alto rango. A dispetto delle demolizioni e delle misure che Ceaușescu aveva preso contro la chiesa, i popi continuavano ad avere certi privilegi. Così hanno raggiunto anche questo settore. Loro avevano molti player, videocassette e andavano matti per i film porno, etero e omosessuali. E visto che noi avevamo molte videocassette porno, mio fratello è entrato nel loro giro, quello dei preti voglio dire, comprava da loro i video per poi rivenderli al doppio del prezzo. Alcuni volevano film omosessuali, erano loro a chiederli. Valeriu offriva i film più nuovi che aveva, di solito etero, la prima, la seconda, la terza volta e poi arrivava il momento in cui, se aveva altri gusti, era il pope a chiedere direttamente se non ci fosse anche qualcosa con ragazzi e allora mio fratello portava porno omosessuali la volta successiva. Non si dicevano nient’altro. Valeriu non faceva domande. 

Nell’estate del 1987 Vali era di nuovo a casa. Voleva rimanere in Libia al massimo un altro anno, dopo di che sarebbe tornato e avremmo pensato a cosa fare in futuro. Quella volta però ci è rimasto due mesi, dall’inizio di luglio fino all’inizio di settembre. Siamo partiti per il mare con Tana e la famiglia di mio fratello, a Olimp, dove abbiamo alloggiato all’Hotel Amfiteatru e ogni sera ce ne stavamo in terrazza o al minigolf e poi andavamo al Bar Internațional, dove c’erano spettacoli di cabaret. È stata una vacanza magnifica, l’ultima con tutta la famiglia durante il comunismo.

È stata anche l’ultima volta in cui Vali è tornato a casa prima del 1990. 

Vali ha regalato a Valeriu una telecamera professionale, Panasonic National. Era una telecamera con cui potevi montare quello che filmavi e mio fratello poteva fare tutto da solo. Così siamo andati ancora avanti, abbiamo iniziato a filmare compleanni, feste, pranzi natalizi, battesimi, matrimoni. Nell’inverno del 1987, Valeriu ha comprato altre due telecamere dai preti e le ha date ai suoi ragazzi, per soldi extra. Si guadagnavano circa mille lei per ogni registrazione. Questo insieme ai molti altri benefici che avevamo quando si andava a filmare in campagna, dove la gente non capiva esattamente cosa stesse succedendo e molti credevano fosse venuta la televisione a filmarli. Ci davano soldi e carne, verdura, frutta, sgozzavano galline. Una volta, vicino a Zimnicea, hanno scannato un maiale perché credevano di essere apparsi in televisione. 

– Siamo in televisione, ooooh, venite qua! hanno gridato sulla strada. 

In campagna era molto raro che qualcuno avesse un video registratore ma, nel caso, Valeriu lasciava la cassetta appena registrata, dopo averla montata con la telecamera, subito dopo le riprese. Altrimenti, dopo aver finito di girare, connetteva la telecamera a un televisore e la gente guardava la registrazione. E alla fine, molti credevano di essere apparsi in televisione. 

Avevamo videocassette riscrivibili che usavamo solo per questo. Abbiamo guadagnato decine di migliaia di lei, forse centinaia di migliaia solo con le riprese in campagna, la maggior parte a massimo 300 km da Bucarest. 

© Massimo De Vita

Il 10 marzo del 1988, un giovedì alle 5 del pomeriggio, ero a casa e Tana faceva i compiti quando ci siamo ritrovate dietro la porta una squadra della Milizia, un procuratore e due ufficiali della Securitate. Erano venuti a perquisirci. Ho scoperto che Vali era stato arrestato in Libia sempre per distillazione illegale di alcol e che sarebbe stato rimpatriato in Romania e processato. Hanno cercato in tutta la casa, hanno staccato tutte le mensole, smontato il parquet in soggiorno e hanno scollato la carta da parati, ma solo in camera da letto, non in corridoio e non sul muro del bagno. Hanno cercato fino alle 10 di sera, non hanno trovato altro che il mio stipendio e molti dolci, bottiglie di alcolici e sigarette, che hanno confiscato. Non hanno preso nessun videoregistratore, nessuna cassetta. Non mi hanno arrestato perché non avevo nessun legame con l’alcol di Vali. In casa non hanno trovato nessuna traccia di alcolici di produzione propria, e le bottiglie che avevamo le hanno confiscate per verificarle. 

– Le prendiamo per vedere se sono quello che c’è scritto sull’etichetta, ma non si preoccupi! mi ha detto un soldato che aveva notato quanto fossi spaventata. 

Vali ha lasciato la Libia con gli abiti che aveva addosso, uno zaino con qualche maglietta, calzini, mutande, una giacca, un paio di jeans e 25000 dollari. In una mano aveva il passaporto e nella tasca dei pantaloni aveva mille dollari. È stato portato all’aeroporto di Tripoli dalla polizia e lì sarebbe stato scortato da un ufficiale fino alla porta d’imbarco, dove lo aspettavano gli ufficiali romeni della Securitate. 

Casualmente Vali conosceva l’ufficiale libico, gli ha dato i 1000 dollari e il passaporto e l’ha pregato di accompagnarlo a un’altra porta d’imbarco. 

È finito su un volo per Amsterdam, senza nessun documento, l’ufficiale di sicurezza libico ha riferito che Vali è entrato in bagno e non è più uscito, che non sapeva dove fosse fuggito, che l’ha aspettato all’ingresso del bagno e ha mostrato il passaporto ai suoi superiori.  

Nel marzo del 1988 Vali era ad Amsterdam, ci è rimasto quasi sei mesi. Poi è andato a Vienna, dov’è rimasto fino al gennaio del ’90 e dove ha conosciuto Arkan. 

Quando è arrivato ad Amsterdam, mi ha chiamato una sera intorno alle 10, una settimana dopo la perquisizione, la domenica successiva, e mi ha detto solo questo: 

– Sto bene, sono salvo!

Mihnea Mihalache-Fiastru (1982) ha portato a termine la facoltà di psicologia e nel presente vive e lavora a Bucarest. È stato giornalista dal 2002 al 2011, e tra il 2012 e il 2016 ha pubblicato saggi per riviste e giornali culturali (District 40 e Dilema Veche) e piattaforme online (Sub25, Scena9). Ha inoltre avviato un progetto di antropologia video sulle piscine all’aperto di Bucarest, dal periodo interbellico ad oggi (Ștrăndooț) e una serie di docu-ficion online (Șușanele), proiettata in numerose gallerie d’arte e spazi culturali. Nel 2018 ha pubblicato Tecnologia dell’Esposizione Universale (Tehnologia Expunerii Universale, Ed. frACTalia, Bucarest 2018), sugli empori di Bucarest alla fine degli anni ’80 visti dalla prospettiva di un bambino che soffre di una sindrome ossessiva non diagnosticata.  

La Salerno di Massimo De Vita viene dal buio. Nel suo muoversi all’interno della città, il fotografo registra il contrasto, le forme sottratte dal flusso. Il risultato è una ricerca a-documentale.

Se Gabriele Basilico si definiva un misuratore di spazio, possiamo chiamare De Vita un misuratore di luce. A muovere il suo interesse è la crepa, lo spiraglio; quell’apertura che tanto assomiglia al diaframma e che, all’esterno, si ribalta nella spaccatura del vicolo. Obiettivo e spazio urbano si richiamano intessendo un dialogo simbolico che travalica la contingenza della street photography.

Nulla, nella fotografia di De Vita, ci guarda: il buio ci attraversa, siamo noi a guardare noi stessi.

Livia Del Gaudio

Massimo De Vita, nato nel 1977, ha scoperto da qualche anno una grande passione per la fotografia, dedicandosi in particolare alla street photography. Cresciuto con un occhio attento al mondo che lo circonda, Massimo ha trovato nella street photography il mezzo perfetto per esprimere la sua creatività e osservare la vita quotidiana da una prospettiva unica. La sua passione si concentra soprattutto sulla fotografia in bianco e nero, una scelta stilistica che gli permette di giocare con la luce e i contrasti per catturare l’essenza delle scene urbane. Attraverso l’uso sapiente delle ombre e delle forme, riesce a trasformare momenti ordinari in immagini cariche di emozione e significato. Il suo approccio è fortemente influenzato dalla ricerca di linee pulite, composizioni bilanciate e dettagli che spesso sfuggono all’occhio distratto. Le strade delle città diventano per lui un palcoscenico in cui il movimento e la staticità si fondono, dove ogni elemento – dalle persone agli edifici – contribuisce a raccontare una storia. Pur avendo iniziato la sua avventura fotografica relativamente di recente, ha già sviluppato un forte stile personale, riuscendo a trasmettere con ogni scatto una narrazione visiva potente e suggestiva.

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