La lingua tradotta: una prima indagine sulle pubblicazioni dallo spagnolo di In allarmata radura

di Livia Del Gaudio

© Simona Salerno

Parallela alla ricerca di scritture in lingua italiana, In allarmata radura ha svolto negli anni scouting su riviste estere individuando testi che ha proposto in traduzione. Il lavoro, iniziato da Aurora Dell’Oro con l’inglese, è proseguito con l’ingresso in redazione di Silvia Dammacco che ha perlustrato per noi l’area spagnola: passando dalla rivista cubana el estornudo – alergias crónicas; alle messicane Anestesia – revista de literatura e Revista Purgante per finire con l’argentina Zenda e la rivista dell’Istituto di Cultura di León, Alternativas – revista cultural è andata in cerca di racconti e prose ibride che potessero completare, arricchire o anche porsi in contrasto con la ricerca portata avanti dalla rivista.

Ne è uscito un mosaico di voci di cui ora cerchiamo di tirare qualche filo. Specie è il luogo che riserviamo ai bilanci, il nostro taccuino d’appunti; ci è sembrato opportuno proporre ai nostri lettori una prima mappa dei testi in traduzione dallo spagnolo. Un percorso che parte da intuizioni, inciampi, rapidi cambi di rotta; indizi di qualcosa che non è ancora ma potrebbe essere.

La prima linea che abbiamo pensato di tracciare parte dall’ultimo testo pubblicato, Personaggio in costruzione di Fernanda Trías: una narrazione che dà misura di quello che sta succedendo nella narrativa contemporanea in lingua spagnola. La tematica metanarrativa è pretesto per tornare al corpo, alle sue contraddizioni anche e soprattutto quando passano attraverso realtà ed emozione. Una lingua piana, costantemente decostruita e ridotta all’osso è l’innesco da cui parte il processo di liberazione dalla mentalizzazione, la gabbia in cui sembra essersi chiuso il postmoderno. 

Di nuovo di corpo parlano i racconti Ozio e Quel signore allo specchio, rispettivamente di Mauricio Miranda e Juan Pablo Martínez Cajiga: si tratta di un corpo che si inserisce con prepotenza nella pagina, attraversandola e bucandola nel quadro di un gioco letterario di impostazione borgesiana. Alla vegetazione, all’osservazione della natura e delle maree si rivolgono invece Daniel Mocher e Anahí Flores con Piante da interni e Alta marea. Il corpo questa volta è totalmente altro, il corpo vegetale capace di dare forma a emozioni altrimenti inesprimibili e perturbanti.

Un discorso in parte differente, in parte contiguo si può fare su Uno sciame di zanzare di Romiro Padilla e La regina degli acufeni di Recaredo Veredas dove l’attenzione è spostata dalla percezione al malessere: la frustrazione, il fastidio passa dal corpo ma in questo caso si tratta di un corpo non compreso, non ascoltato che dunque si rivolta contro il suo possessore tramutandosi in nevrosi. Per ultimo,

Completo Camagüey / The Whole City della cubana Legna Rodríguez Iglesias: una narrazione che sotto forma di reportage ricostruisce il complesso rapporto tra memoria cosciente e informazioni sensoriali. Bevande, cibi, suono delle parole pronunciate nella lingua madre diventano materia di riflessione politica sulla distanza e la condizione di esilio.

Il continuo rimando al corpo come vettore di significato è complesso quanto affascinante. Di corpi parlava anche la prima uscita di Specie quando, alla fine del primo anno della rivista, tentavamo di fare un bilancio delle pubblicazioni. Sorgerebbe spontaneo pensare che di corpo si parli perché nel mondo della virtualità esasperata a esso ci si aggrappi come a un feticcio sospeso al limite della sparizione. Da questo punto di partenza è possibile fare un ulteriore passo in avanti: immaginare il corpo non come soggetto delle narrazioni ma come volume solido, opaco che si interpone tra visione e fonte di luce, un corpo che generi ombra. Di cosa sia composta quest’ombra lo suggerisce Jean-Luc Nancy in Indizi sul corpo: «La forma di un corpo, questa forma che esso è, risponde a un desiderio, a un’attesa, a un bisogno stesso o a una voglia: forma del frutto che voglio mangiare, della mano che spero di tenere».In quest’ottica la presenza del corpo potrebbe essere vista come un desiderio, ovvero una speranza: un essere in positivo, una tensione invece che una sparizione. Con l’augurio che sia davvero così, lasciamo ai lettori lo spazio e il tempo di trarre conclusioni. Con parole rubate a Pessoa: «Le cose non hanno significato, hanno un’esistenza. Le cose sono l’unico senso occulto delle cose».

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