

La vergogna.
Nel 2014 Gabriella Turnaturi, sociologa, ha partecipato al Festival della Filosofia di Carpi. Il tema scelto dagli organizzatori dell’evento era la gloria. Turnaturi presenta un intervento dedicato, invece, alla vergogna, che è la controfaccia della gloria. Entrambe, dice, sono passioni che nascono dallo sguardo dell’altro; sono, in altri termini, emozioni di relazione. La gloria è una «contentezza di sé che non è mai individuale, è una gioia che si spande» e che fa alzare la testa; la vergogna, al contrario, abbassa lo sguardo verso terra, è uno sguardo che si sottrae allo sguardo. La vergogna, per dirla con Georg Simmel, segue la «politica dello struzzo: si sottrae alla possibilità di essere guardato». Ancora, vergogna e gloria sono generative l’una dell’altra.
La gloria non conseguita, infatti, può portare a disistima e vergogna. La consapevolezza, improvvisa e dolorosa, che esiste una discrasia, tra l’immagine che si ha di se stessi e quella che hanno gli altri, è un colpo al narcisismo. La reazione più comune, purtroppo, è quella di sferrare una ferita uguale e contraria a quella ricevuta, attraverso azioni in cui, in seguito, non ci si riconosce. Da qui, la vergogna: la sorpresa di scoprirsi tutt’altro che meravigliosi.
La vergogna, tuttavia, se vissuta con responsabilità, può essere riabilitativa. Può portare chi la nutre a «ripristinare una buona immagine di sé», attraverso il compimento di azioni virtuose, per sé e per gli altri. A questo proposito Turnaturi cita, significativamente, Karl Marx: «Non è per vergogna che si fanno le rivoluzioni; la vergogna è già una rivoluzione: è l’ira che si rivolge contro se stessa; […] è il leone che prima di spiccare il balzo si ritrae prima su se stesso».
Una stanza tutta per sé.
Nel 1928 Virginia Woolf tiene due conferenze, una a Newnham e l’altra a Girton, entrambi college femminili di Cambridge, sulla libertà intellettuale della donna e sulle condizioni che la rendono possibile. Un anno dopo, i suoi interventi vengono pubblicati in un volume intitolato “Una stanza tutta per sé”.
La voce narrante è quella di una anonima studentessa del college di Oxbridge, fittizio solo nel nome. Attraverso un excursus sulla storia della donna nel mondo delle lettere, la protagonista evidenza con ironia gli aspetti più retrivi degli ambienti accademici dell’epoca. Particolare attenzione viene data al linguaggio paternalistico, la “men’s sentence” che prevale e silenzia l’espressione femminile. Ad esso, secondo Woolf, le donne non riescono a sottrarsi, in parte perché manchevoli di autonomia economica e in parte perché incapaci di reagire se non attraverso la rabbia.
In conclusione, Woolf sostiene che la mente scrittrice dovrebbe essere androgina, ovvero maschile e femminile al contempo, in quanto solo in questo modo può osservare la realtà senza essere intrappolata dentro le gabbie psicologiche e sociali che entrambi i generi sono andati costruendosi.
Le visionarie. Fantascienza, fantasy e femminismo: un’antologia.
Le visionarie. Fantascienza, fantasy e femminismo: un’antologia è stato pubblicato nel 2018 da NeroEditions e raccoglie ventinove racconti scelti da Ann e Jeff Vandermeer. Entrambi hanno contribuito al ritorno d’interesse nei confronti del weird che si è registrato a partire dagli anni 2000: la prima, destinataria del premio Hugo e del British Fantasy Award, ha fondato la casa editrice Buzzcity Press ed ha diretto la rivista Weird Tales; il secondo, che le è marito, è autore di saghe fantasy e curatore di antologie di raccolte dedicate allo steampunk e al new weird. Tra i racconti selezionati per le Visionarie troviamo nomi noti ai cultori del genere, come Ursula K. Le Guin e Angela Carter, accanto ad autrici di nuova generazione, come Nnedi Okorafor e Leena Krohn. Ad accomunarle è l’intenzione di intrecciare invenzione e riflessione femminista.