a cura di Fabiana Castellino

© Maria Cristina Comparato
Più di ogni altra cosa, tacere è preferibile
“La causa fondamentale del suicidio era da ricercarsi, a parere della studiosa, nella disperazione esperienziale, ossia in quella condizione per cui una persona non vede più nella vita nulla che gli possa piacere o da cui possa trarre esperienze gradevoli o perlomeno sopportabili. La psicologa sottolineò ancora la natura peculiare del suicidio rispetto agli altri problemi psicologici: il suicidio in Finlandia continuava a essere un tabù di cui si preferiva non parlare. Chi lo compiva, e le persone vicine, si guadagnavano la funesta etichetta di malati. Per la famiglia, in particolare, il suicidio comportava una catena di situazioni alquanto penose, proprio a causa del tabù”.
Arto Paasilinna, Piccoli suicidi fra amici, Iperborea, Milano, 2019. p. 65
L’accusa a chi non ha taciuto
“Un’intera generazione riconobbe in quello di Werther il proprio stato d’animo. Si andava attorno ostentando il costume in cui è descritto nel romanzo il giovane candidato alla morte: marsina azzurra con calzoni e panciotto gialli. L’imitazione, la malinconica dedizione giunsero all’estremo e si verificarono suicidi, con ben manifesta e chiara obbedienza all’esempio di Werther, e che pertanto, secondo i moralisti, avrebbero dovuto gravare sulla coscienza di chi aveva scritto quel racconto corruttore. Questi giovani sedotti dimenticavano che il poeta del Werther aveva bensì rappresentato con perfetta arte lo svilupparsi entro un animo giovanile di una risoluzione al suicidio, ma che egli medesimo non si era poi affatto ucciso, aveva anzi superato con l’attività creativa le tentazioni mortali, liberandosene nel poema. Goethe nei suoi ricordi autobiografici parla della differenza quasi grottesca tra la funzione risanatrice spettante al romanzo Werther per la sua vita e l’effetto esteriore da esso invece prodotto. […] Scritto il libro, si sentì libero, col diritto a una nuova vita, mentre però egli aveva trovato chiarificazione e sollievo, trasformando la realtà in poesia; altri giovani ne trassero turbamento, e credettero che si dovesse tramutare la poesia in realtà, recitare quel romanzo e anche veramente ammazzarsi. Così quel che a Goethe aveva tanto giovato acquistò fama di estremamente nocivo.”
Thomas Mann, Il Werther di Goethe, in I dolori del giovane Werther, Oscar Mondadori, Milano, 2007 pp. 151-152,