Una specie di elogio funebre. Ipertesto

di Mario Emanuele Fevola

© Letizia Santoro & Francesco Carbone

La morte come attentato all’Io (appunti di psicologia del profondo)

di Mario Emanuele Fevola

La configurazione stessa della vita impone di affrontare il declino del corpo. Pieghette appena visibili, ciuffi argentati camuffati tra gli altri, afflosciamenti di muscoli e tessuti, riduzione del desiderio sessuale e della vitalità segnalano il tragitto discendente del corpo e suscitano l’angoscia che insieme alla corporeità svanisca l’Io. Assumendosi il compito di proteggere il corpo, l’immaginario funebre coltiva il bisogno di salvaguardare l’Io. L’incisione del nome assume un ruolo fondamentale. Preservare il nome del defunto è tanto cruciale quanto conservare la ritualizzazione della mortalità del corpo.

Durante il processo di individuazione, così come l’Io è invitato a dissolversi nella corporeità, l’individuo è invitato a dissolversi nell’Io. La Morte rappresenta l’ombra archetipica dell’identità e nega che essa sia confinata nel corpo e nell’Io.

Molti estratti analitici sulle angosce e le ansie di morte convergono su un punto cruciale: la morte non è tanto vista come la fine del corpo, ma dell’Io, del “me stesso”. L’angoscia della morte affonda le sue radici non nella cessazione delle funzioni vitali, ma nelle funzioni dell’Io: percezione, pensiero, memoria, azione intenzionale, relazione, consapevolezza. Molte persone riconoscono che le loro angosce sarebbero ridotte o addirittura eliminate dalla possibilità di preservare il proprio “io” nonostante la morte del corpo. La loro più grande paura non è legata alla fine delle funzioni vitali, ma alla dissoluzione irreversibile delle attività, dei pensieri, dei ricordi, delle relazioni, degli affetti, degli attaccamenti alle persone, ai luoghi, agli oggetti, agli interessi e a tutto ciò che è percepito come identità. Non di rado, se fosse possibile conservare tutto ciò pur perdendo il corpo, la morte sarebbe meno spaventosa.

Se si avverte un senso di identità individuale, si percepisce anche la morte; se la percezione della propria identità scompare, anche la morte cessa di essere percepita. Non esiste più.

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