“L’ora senza ombre”: il booktrailer

di Livia Del Gaudio

© gus bo, foto di scena di Fragile Things

Dio usa i naufraghi, grazie ad essi ammonisce e salva.
NADIA FUSINI

Il naufragio e il bosco. La Tempesta di William Shakespeare e Il franco cacciatore di Giorgio Caproni

Una delle tante magie con cui si apre il viaggio dei naufraghi ne La Tempesta di Shakespeare riguarda i vestiti. È il secondo atto, la scena è la prima, ci troviamo sull’isola. 

I dispersi nella furia del mare sono nove: il gruppo più nutrito conta sei uomini, il secondo due, l’ultimo uomo è solo1. Nessuno conosce il destino della nave che li ha condotti fin lì; l’hanno vista scomparire verso il fondo, sono convinti che l’intero equipaggio sia annegato, non c’è speranza nei loro cuori. Eppure gli abiti sono intatti. Preservati dalla salsedine, dall’acqua, nuovi come quelli di una festa. A eccezione del più saggio tra i naufraghi, Gonzalo, l’uomo che ha tradito e ha avuto il coraggio di riconoscere il suo tradimento e di averne pietà, i sopravvissuti non si interrogano sull’origine del miracolo. Sono persi dentro sé stessi, un tutt’uno con la disgrazia che li avvolge, non vedono ciò che sta accadendo.

Anche Peter Greenaway, nella sua trasposizione cinematografica de La Tempesta, The Prospero’s books (1991), pone l’accento sulla magnificenza dei vestiti. Li immagina barocchi, eccessivi, appartenenti al mondo delle fiabe; ce li mostra senza stancarsene, e questo perché conosce ciò che i naufraghi non possono ancora sapere, ovvero che «nella Tempesta nessuno annega, nessuno muore, semmai tutto diventa “sempre più ricco e sempre più strano”. […] cambia il senso del naufragio: è un annegamento battesimale. La tempesta è simbolica, la tempesta è una prova, chi l’attraversa ne esce trasformato2». 

© gus bo, foto di scena di Fragile Things

Nel 1982, nell’anno dei suoi settant’anni, Giorgio Caproni pubblica Il franco cacciatore. Non è da molto che si è concesso di fare della poesia la sua unica attività; per quarant’anni, fino al 1973, Caproni ha lavorato come maestro elementare, prima nella provincia poi a Roma, una scelta dettata dal bisogno di «educarsi alla meglio per la conquista del pane quotidiano», come scrive in una lettera a Descalzo3, che in letteratura ha preso la forma della ricerca di una lingua semplice, ostinatamente piccola e popolare, votata al continuo dialogo con i lettori: «perché una conversazione possa svolgersi occorre che chi parla/scrive e chi ascolta/legge adoperino lo stesso linguaggio per potersi capire fino in fondo; ed è per questo che Caproni usa per la sua poesia un linguaggio diretto e quotidiano4».

Ne Il franco cacciatore questa lingua diventa radice. Posto davanti alla sfida di rappresentare l’esistenza come una caccia, tema inquietante per la difficoltà di distinguere i ruoli di chi agisce e chi subisce, il poeta si affida a quella capacità di comunicare su cui ha lavorato per tutta la vita, la stessa capacità su cui si fonda il teatro di Shakespeare: non una rinuncia alla complessità, ma una rinuncia all’io, unica strada per rappresentare la contraddizione senza perdersi al suo interno.

Il cacciatore di Caproni, come il Prospero di Shakespeare, è un uomo che attende. Lontano dal consorzio umano, acquattato nel bosco (o nell’isola), sa che la sua attesa potrebbe essere vana, anzi è altamente probabile che lo sia. Eppure questa consapevolezza non basta a fermarlo. 

Il tempo, l’attesa che il tempo si compia, sono la materia impalpabile, il vuoto che soggiace a La Tempesta. Come sottolinea Nadia Fusini5, il protagonista del dramma, Prospero, il re-mago dell’isola, è un misuratore di tempo: lo è nei confronti di sé stesso, quando accetta l’esilio imposto e lo trasforma in studio; lo è quando si fa clessidra nella vita dei naufraghi che getta in mare e poi riveste per condurli alla rinascita. Di nuovo è il tempo la matrice dei versi di Caproni: l’istante che si ripete identico a sé stesso nello spazio sospeso della caccia è quello che permette all’io di separarsi da sé e di trasformarsi da osservatore all’atto stesso di osservare («La mira, ero io» recita un verso della poesia di apertura della raccolta, La caccia). Shakespeare e Caproni raccontano la stessa esperienza, quella dell’attesa, che coincide, nello spazio magico della letteratura con il suo contrario: l’irrompere del Tempo: «C’è un momento, c’è un tempo e c’è uno spazio, in cui non possiamo che arrenderci e dare testimonianza dell’inatteso, dell’imprevedibile; e riconoscere che sì, qualcosa di mai visto, mai udito, né mai saputo prima ci coglie impreparati. È questa l’esperienza della meraviglia6».

Il franco cacciatore e La Tempesta testimoniano la medesima verità: si può fare naufragio e ci si può salvare, a patto di trasformare la caduta in battesimo.

© gus bo, foto di scena di Fragile Things

L’isola e i naufraghi di Fragile Things

Dal 22 agosto al 27 settembre 2024 sui canali social di In allarmata radura e su quelli dell’editore Pidgin sono apparsi sedici brevi filmati. Accompagnati da voci fuori campo che recitano frammenti dell’antologia L’ora senza ombre7, fanno parte di un progetto che affianca il volume pur mantenendo la sua autonomia: Fragile Things.

Realizzato da Lulù Withheld, che ne ha anche curato la sceneggiatura, ed Emiliano Mondini, Fragile Things è un universo visivo composto, appunto, da sedici shorts e un booktrailer di un minuto e mezzo. Girato a fine marzo a Lido di Classe, Ravenna, vede coinvolti quattordici attori che si sono prestati a dare corpo a quattordici naufraghi, incarnazione dell’immaginario di Lulù ed Emiliano, degli stimoli prodotti dall’antologia che in quei giorni vedeva la sua prima forma di editing e degli echi di Radura di Giorgio Caproni (raccolta all’interno de Il franco cacciatore), poesia da cui deriva il nome della rivista. Il risultato, non previsto, è stata una nuova messa in scena de La Tempesta di Shakespeare.

© gus bo, foto di scena di Fragile Things

Cut up da L’ora senza ombre

Primi, in ordine di pubblicazione, sono stati gli shorts, che seguono un ordine preciso e compongono nel loro insieme il testo montato da Fabiana Castellino assemblando frasi estratte dai diversi racconti dell’antologia. Di seguito riportiamo il testo nella sua interezza:

La prima volta mi sono perso. Chiudo la porta e il mio mondo rimane fuori.
Bisogna ricordarsi di aspettare la corrente giusta, sforzarsi di starci sopra. E dimenticare, dimenticare tutto quello che si credeva di sapere.
Il mare non si vede finché non si oltrepassa una vecchia villa dai cancelli alti e i balconi che si scorgono già dalla strada.
Il mare si butta a riva con tonfi pesanti e ricopre il lungo tappeto di alghe che era la spiaggia, per poi ritirarsi veloce e un attimo dopo rifare tutto da capo.
Lei non ha parole per descrivere le onde. Il dolore arriverà, e lo farà come un’onda; si prenderà ogni cosa. Non esiste un posto dove nascondersi.
Il suo sguardo è quello che dovrebbe essere ogni sguardo, e cioè un regalo. È uno sguardo per il quale essere grati, e volevo dirti che vederti è magnifico.
Avviene lo stesso quando si legge un libro appassionante sulla spiaggia in riva al mare. Proprio lì, in quella scheggia di tempo, siamo noi stessi e il riverbero di noi stessi.
Ora ho la sensazione che il tempo sia cambiato così tanto da condannare tutti noi a non tenere stretti i nostri posti.
Qualcuno ci ha detto che non ha senso opporsi alle cose quando sono troppo più grandi, e noi ci abbiamo creduto.
Le storie, quelle che dovrebbero contare, rimangono per pochi.
Le fiabe sono elementari e violente, non danno spazio a spiegazioni parziali sulla presenza del male nel mondo, sono profetiche, elettive, sapienziali.
Rimango per qualche secondo sulle parole, tentato dal lasciarmi trasportare, saltare da un’associazione all’altra, immaginare.
Raccontiamo a noi stessi e agli altri il nostro sogno rendendolo altro da quello che è.
Qualsiasi sogno che non porta alla morte è destinato a bruciare.


Il booktrailer de L’ora senza ombre

Fragile Things e Radura di Giorgio Caproni

Una spiaggia, d’inverno. Nebbia bassa sull’acqua e cielo piombo.
Un gruppo di persone si ritrova lì, tra le dune e i tronchi portati dalle mareggiate. Sembrano tutti spaesati. Come se queste persone fossero arrivate lì senza ben sapere, o ricordare, il perché. Sembrano cercare o aspettare qualcosa, sembrano a disagio, sgomente8.

Questa è l’immagine che apre il video di un minuto e mezzo che accompagna l’uscita de L’ora senza ombre (visibile su YouTube a questo link: https://youtu.be/FxPGM8-NSO8). Come in Radura di Caproni il punto di partenza è lo smarrimento. I protagonisti sono insieme su una spiaggia ma sembrano non riconoscere né sé stessi, né chi sta loro attorno; sono soli, dispersi, hanno appena varcato le soglie del labirinto senza alcun filo rosso a guidarli. 

Quello che noi spettatori facciamo, come Prospero, è osservare. Le reazioni dei naufraghi rispecchiano quello che sono, preannunciano quello che vogliono diventare e, soprattutto, rappresentano un decalogo di ciò che è umano: un’umanità che si rivela all’improvviso quando irrompe la paura. Il destino che spetta a ognuno di loro è diverso. Sparpagliati sull’isola alcuni andranno incontro a punizioni, come ne La Tempesta; ad altri sarà chiesto di perdersi per ritrovarsi; altri ancora, attratti da canti e suoni magici, muteranno in maniera ancora più definitiva fino a confondersi con gli spiriti che hanno evocato.

Prima che una realtà geografica, l’isola è un’esperienza: non tutti troveranno una radura, alla fine del loro viaggio.

editing di Fabiana Castellino

Fragile Things 
regia: Lulù Withheld ed Emiliano Mondini
direttore della fotografia: Edoardo Podo
operatore di macchina: Luca Tosetto
organizzatore generale: Emiliano Mondini
produzione: Christian Nanti
assistente di produzione: Mr. Nobody Channel
foto di scena: Gus
montaggio e postproduzione: Lulù Withheld
musiche e postproduzione audio: Sequenza Squarciata
con:
Marco Manfredi
Carlotta Pircher
Christian Nanti
Vittoria Bubacco
Giulia Bortolotti
Manuel Carlin
Matteo Zanotti
Anemonima
Vlad
Brando
Enrico
Martina
il Lituano
e il Falconiere
voice over book trailer: Gianpiero Montanaro e Niko
voice over extended version: Elisa Chiovato

L’opera è pubblicata con il sostegno del MiC e di SIAE, nell’ambito del programma “Per Chi Crea”.
Gli shorts e il video di un minuto e mezzo di Fragile Things sono visibili nel canale YouTube di In allarmata radura.

Le fotografie di scena realizzate da gus bo per Fragile Things non sono un semplice corollario del video, ne rappresentano la cristallizzazione: un’altra faccia di un tempo che sullo schermo appare inafferrabile, che in realtà si avvolge su se stesso, ogni volta diverso, infinitamente scomponibile, coincidente e sovrapposto allo spazio che rappresenta.

La possibilità di fermare l’attimo, di rendere immediato il controllo delle scene e della sua sequenzialità entra nel cinema attraverso un’invenzione fotografica, la Polaroid. A partire dal 1947 la fotografia istantanea diventa il secondo linguaggio del movimento, il suo contrappunto e la sua verifica. Due polarità, dunque: il bianco e il nero dell’immagine, il suo scorrere e il suo restare immobile.

Negli scatti di gus bo convive il conflitto del cinema (l’alternarsi di primi piani e campi lunghi; il mostrare il “dietro le quinte” o negarlo) senza che l’osservatore avverta la frattura. La magia della storia, la narrazione messa in scena dai registi, non è turbata dal disvelamento dell’artificio, l’isola resta vera nonostante appaia per quello che è, una spiaggia del mare Adriatico. Volti di attori e operatori si fondono in un’unica tempesta, quella che rende possibile l’atto creativo; la fotografia diventa una storia naturale, una scienza del possibile.

Livia Del Gaudio

gus bo (Bologna, 1972). Da sempre in casa sua ci sono state macchine fotografiche, obiettivi e proiettori di diapositive. La cucina del primo appartamento in cui va a vivere da solo è utilizzata più come camera oscura che per cucinare e mangiare. Il rapporto con la fotografia muta negli anni fino a diventare il rifugio creativo e auspicabilmente anarchico da una realtà razionale, logica e tendenzialmente asettica dove nome e cognome sono maiuscoli, estesi e riconducibili. Oggi fotografare persone è ciò che gli piace; gli permette di osservarle da un punto di vista privilegiato, soddisfacendo la propria inesauribile curiosità verso gli altri. Lo sguardo che si affida e si immerge nel suo obiettivo lo emoziona tutte le volte, e tutte le volte spera di restituire qualcosa che possa rappresentare il momento.

  1. La Tempesta (The Tempest) è un dramma romanzesco in cinque atti scritto da William Shakespeare probabilmente tra il 1610 e il 1611. Ambientato su un’isola imprecisata del Mediterraneo, racconta la vicenda dell’esiliato Prospero, il vero duca di Milano, che trama per riportare sua figlia Miranda al posto che le spetta utilizzando illusioni e manipolazioni magiche. Mentre suo fratello Antonio e il suo complice, il re di Napoli Alonso, stanno navigando sul mare di ritorno da Cartagine, il mago invoca una tempesta che rovescia gli incolumi passeggeri sull’isola. Attraverso la magia e con l’aiuto del suo servo Ariel, uno spirito dell’aria, Prospero riesce a rivelare la bassa natura di Antonio, a riscattare il re e a far innamorare e sposare sua figlia col principe di Napoli, Ferdinando. La narrazione è tutta incentrata sulla figura di Prospero, che, con la sua arte, tesse trame con cui costringe gli altri personaggi a muoversi secondo il proprio volere. Nel momento citato nel testo, Prospero ha appena diviso i naufraghi in tre gruppi: Antonio, Alonso, Sebastiano, Gonzalo, Adriano e Francesco; Trinculo e Stefano; Ferdinando. ↩︎
  2. Nadia Fusini, Vivere nella tempesta, Einaudi, Torino, 2016 ↩︎
  3. Giorgio Caproni, lettera a Giovanni Descalzo, Genova, 8 luglio 1937 ↩︎
  4. Francesco De Nicola e Maria Teresa Caprile (a cura di), Antologia di Giorgio Caproni, Società Dante Alighieri ↩︎
  5. Nadia Fusini, op. cit. ↩︎
  6. Ivi, p. 55 ↩︎
  7. In allarmata radura (a cura di), L’ora senza ombre, Pidgin Edizioni, Napoli, 2024 ↩︎
  8. estratto da soggetto di Fragile Things, scritto da Lulù Withheld ↩︎

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