Meteora

di Hugo Bertello

© Federico Renzaglia

È il 15 luglio 2017, mi trovo sulle sponde di un lago alpino, i piedi immersi in acque limpide e gelide. Dietro di me, sdraiata su un telo, mia madre fuma una sigaretta, mentre la mia compagna si ripara dal sole cocente di mezzogiorno con un giornale. A una ventina di metri, una famiglia al di sopra di ogni sospetto, formata da padre, madre e due figli adolescenti, consuma il pranzo al sacco.

Mentre mi godo il piacere allegro e tenebroso procurato da un nugolo di pesciolini che mi mordicchiano i piedi, avverto un rumore improvviso, simile a un refolo di vento, al volo di un uccello in picchiata, alle fruste di uno sbattitore elettrico che si accaniscono su un contenitore vuoto.

Mi giro e colgo nel volto delle mie compagne di escursione lo stesso stupore che c’è nel mio: un oggetto dev’essere caduto dal cielo. Ci guardiamo attorno: l’orizzonte è occupato dalla dentatura affilata delle montagne, il cielo è terso, il suo indaco profondo non è violato da nuvole o aerei. Ci potrebbe essere però qualche uccello, che i nostri occhi non sono in grado di cogliere. Mi viene in mente la morte di Eschilo. Un’aquila scambiò il suo capo, calvo e glabro, per una roccia e vi fece cadere sopra una testuggine, uccidendolo nell’atto di filosofeggiare. Penso ad altri casi analoghi: Talete piombato in un pozzo, nottetempo, mentre studiava gli astri; Empedocle saltato volontariamente nella caldera di un vulcano. Torno alla realtà: possibile che un grande rapace abbia appena fatto cadere al suolo la propria preda, per ucciderla e cibarsene?

© Federico Renzaglia

Mi alzo in piedi e mi dirigo verso la zona dell’impatto. Il padre di famiglia, interrotto il picnic, fa lo stesso. Quando è abbastanza vicino, dice: «Hai sentito anche tu cadere qualcosa?» Facciamo qualche altro passo in cerca di prove. Troviamo un oggetto sbriciolato. Ne prendiamo ciascuno un pezzetto in mano, lo esaminiamo, lo annusiamo. Poi diciamo: «Ghiaccio?»

Qualche ora più tardi, a casa, immetto nel motore di ricerca: Blocchi di ghiaccio che cadono dal cielo. Scopro con sollievo che si tratta di un fenomeno atmosferico noto, benché dibattuto. Il termine scientifico: megacriometeora.

Una megacriometeora è un blocco di ghiaccio che, malgrado le somiglianze strutturali, idrochimiche e isotopiche coi chicchi di grandine, si forma perlopiù in presenza di cielo limpido e soleggiato. Dal 2000 in poi, sono stati identificati oltre cinquanta oggetti di questo tipo in tutto il mondo. Uno in Brasile, del peso di cinquanta chilogrammi, ha sfondato il tetto di una fabbrica Mercedes-Benz. Un altro in California ha creato un cratere profondo un metro. Sporadici eventi sono stati registrati anche in Spagna e in Italia, dove a fare da vittima sono state delle automobili parcheggiate.

Jesús Martínez Frías, geologo planetario e astrobiologo dell’Istituto di Geoscienze di Madrid, è un pioniere in questo campo. Il mio senso civico mi convince, alle tre di notte, a inviargli un’email in cui gli comunico l’orario e le coordinate dell’impatto (44.4239, 6.9365), e gli porgo le mie più mortificate scuse per non essere riuscito a raccogliere un campione. Mi risponde alle 8:54, appena entrato in ufficio: «La ringrazio per l’interessante resoconto, inserirò l’evento nei miei archivi».

Le sue parole, sobrie e parsimoniose, esprimono la dignità di un ricercatore che ha scelto di dedicarsi allo studio di un fenomeno elusivo e non riproducibile, pur sapendo di esporsi alle critiche degli scettici. Una rumorosa parte della comunità geofisica, infatti, sostiene che le megacriometeore non siano altro che dei blocchi di ghiaccio che si staccano dalle fusoliere degli aerei, o peggio, i residui di toilettes scaricate ad alta quota.

© Federico Renzaglia

La mia testimonianza diretta è sufficiente a convincermi che si tratta di un raro fenomeno di origine atmosferica, ma solleva un interrogativo: a quali altri eventi sarei disposto a credere, se li osservassi in prima persona? I candidati offerti dalle pseudo-scienze, o provenienti dalla sfera dell’occulto, non mancano: fulmini globulari, fuochi di Sant’Anselmo, raggi verdi, fuochi fatui, nubi nottilucenti, sonorità delle aurore boreali. Il bisogno di dare un senso a ciò che ho vissuto mi porta addirittura al poltergeist: nel folklore tedesco, uno spirito che provoca rumori e cadute improvvise di oggetti di uso quotidiano.

A questo sconfinamento nel paranormale fa seguito un moto di disgusto verso me stesso: mi sto trasformando in uno di quei personaggi grotteschi che propugnano senza vergogna teorie improbabili e infantili? Cercando rifugio nella ragione, leggo tutti gli articoli di Martínez Frías. Il professore mi rassicura del fatto che l’origine atmosferica delle meteore di ghiaccio è stata confermata da analisi di laboratorio e mi rende edotto su come possano formarsi:

  1. L’umidità presente negli strati alti dell’atmosfera (tipicamente nella tropopausa o nella parte bassa della stratosfera) si condensa e congela attorno a nuclei di pulviscolo.
  1. Queste particelle ghiacciate, a causa di instabilità, turbolenze o moti ascensionali locali restano sospese più a lungo del normale.
  1. In presenza di particolari condizioni fisiche e chimiche (alta umidità, temperature molto basse, assenza di correnti discensionali forti), le particelle crescono per aggregazione successiva di goccioline ultra-raffreddate o strati di vapore acqueo congelato.
  1. Quando diventano troppo pesanti per restare sospese, cadono a terra sotto forma di grandi blocchi di ghiaccio: le megacriometeore.

© Federico Renzaglia

Ho compreso a livello razionale ciò che è accaduto, tuttavia provo una profonda insoddisfazione. Percepisco una traccia odorosa che con tutta probabilità mi condurrà a una ricompensa rancida, ma a cui non so rinunciare. Procedo dunque a leggere resoconti e testimonianze sul poltergeist e scopro che presentano quattro caratteristiche ricorrenti:

  1. Gli oggetti in movimento raramente colpiscono le persone presenti o danneggiano gravemente l’abitazione.
  1. Le manifestazioni durano alcune settimane o alcuni mesi al massimo.
  1. Le manifestazioni si verificano quasi sempre in presenza di una particolare persona, detta persona focale, che, nella maggior parte dei casi è in età adolescenziale.
  1. I rumori e gli spostamenti inspiegabili di oggetti sono accompagnati dall’apparizione di pozze d’acqua o da fenomeni di combustione.

Sforzandomi di esaminare gli eventi senza preconcetti, sono costretto ad ammettere che l’evento meteorico da me osservato rispetta 3 delle 4 caratteristiche: l’oggetto non ha causato danni alle persone, si è verificato in presenza di due adolescenti (i vicini di picnic) e vi era una componente combustiva (mia madre fumava una sigaretta).

Per valutare il punto mancante (il fenomeno deve ripetersi), dovrei tornare sul luogo del delitto per maggiori osservazioni.

© Federico Renzaglia

Il 17 luglio, di primo mattino, raggiungo il Colle della Maddalena in auto e mi inerpico per una valle brulla e assolata. Dopo due ore di cammino, scorgo il lago dall’alto. La sua elegante forma allungata è interrotta da un promontorio roccioso che rischia di spezzarlo a metà, simile a un pulpito eretto per predicare sulle acque.

Mi siedo nello stesso punto di due giorni fa e monto la tenda. Passo tutto il giorno a leggere, a mangiucchiare, a lasciarmi mordicchiare i piedi dai pesciolini e a fare lunghe camminate attorno alla pozza d’acqua. Verso mezzogiorno, mi accorgo del sopraggiungere di un gruppo di adolescenti di un campeggio estivo. Nello stesso istante, identificare una persona che fuma una sigaretta. Sento il cuore battere all’impazzata: è il momento adatto per la caduta di una criometeora? Alzo lo sguardo sul cielo indaco, ma non succede nulla. Non mi rammarico. Di certo non sono venuto fin qui con la speranza che un fantasma tedesco possa far capitombolare un blocco di ghiaccio sul confine tra Italia e Francia. Allora, cos’altro sto cercando?

Verso le sei inizia a imbrunire, rimango solo. A 2500 metri, le temperature notturne sono inclementi anche in piena estate e mi costringono a indossare pantaloni lunghi, maglione e giacca. Chiuso nella tenda, avvolto dal sacco a pelo, lascio che un pensiero latente raggiunga la superficie: le Alpi, negli ultimi anni, hanno visto un rapido ripopolamento da parte del lupo. Possibile che frequenti questa conca ad alta quota? E la luce del mio frontalino farà da repellente, o rischia di attirarlo?

Più mi sento lontano dal mondo cosiddetto civilizzato, più monta la paura. Cerco di distrarmi leggendo un libro: Bestiario di Cortázar. In un racconto, una famiglia che vive nella campagna argentina deve seguire una routine domestica surreale per evitare di incontrare una tigre che si aggira libera. In un altro, un uomo inizia di punto in bianco a vomitare coniglietti vivi. Per una ragione oscura, ripesco dalla memoria un altro libro a me caro: Gesta e opinioni del dottor Faustroll, patafisico, l’opera con cui Alfred Jarry rivelò al mondo la «scienza delle soluzioni immaginarie», che si prefigge di studiare le leggi che reggono non le regole, ma le eccezioni.

Capisco che il freddo proviene soprattutto dal suolo, che come un essere vivo sugge e si nutre del calore del mio corpo. Mi giro su un fianco per offrire una superficie più piccola al nemico che minaccia di svuotarmi. Non disponendo di una soluzione pratica, ne trovo una immaginaria: sono immerso in una vasca d’acqua bollente, massaggiato dalle sapienti mani di un uomo cinese di mezza età visto in un film, poi vengo proiettato nella pozza opalescente di un geyser islandese. Funziona. Mi rendo conto di aver riscoperto il Tummo, un’antica tecnica di meditazione dei monaci buddisti tibetani che permette di generare calore attraverso il respiro e la visualizzazione.

Come un monaco, cerco di svuotare la testa da tutto ciò che non è essenziale. Quel che rimane è la chiave di lettura dei fatti degli ultimi giorni: la caduta di quel blocco di ghiaccio ha portato alla luce pulsioni che ribollivano sotto la superficie. Quello scherzo della Natura ha riattivato i circuiti del pensiero magico che un tempo erano al centro del nostro modo di dare un senso alle cose, e che la rapida scientificizzazione ha soppresso e demonizzato. Si tratta dello stesso programma politico messo in atto dalla Cultura attraverso le opere dei surrealisti: la patafisica, con le sue spiegazioni immaginarie, aggiorna e amplifica le tesi che furono della mitologia. Jarry e Cortázar assurgono invece al ruolo che un tempo fu dello sciamano: essere il tramite istituzionalizzato tra il mondo visibile e quello invisibile.

Mi chiedo: perché il pensiero magico è sopravvissuto fino ai giorni nostri? La risposta: perché rende possibile ed esalta il suo opposto. Le soluzioni immaginarie, con la loro energia ludica e sovversiva, ci spingono a scardinare gli schemi di pensiero abitudinari e fossilizzati della società della quantità, per trovare soluzioni innovative che il solo razionalismo non può raggiungere, dato il suo assoluto bisogno di certezze. 

© Federico Renzaglia

Accresco: l’alienazione che caratterizza l’essere umano moderno può essere spiegata dal recedere del pensiero magico alla sua forma sporadica e clandestina? Il solo modo di scoprirlo è riequilibrare la bilancia a favore dell’invisibile, riconoscendo che ogni fisica non può fare a meno della sua patafisica; che ogni campagna argentina sarebbe invivibile senza la sua tigre; e che ogni alpeggio gelato ucciderebbe il suo escursionista se questi non fosse in grado di generare calore attraverso il respiro.

Verso le sei del mattino riapro gli occhi e mi rendo conto che fuori ha iniziato a schiarire. Il lupo, questa volta, non è venuto. Esco, mi sgranchisco gambe e braccia, mi rinfresco il viso con le acque del lago, rabbrividisco, mi guardo intorno, cerco di individuare qualche blocco di ghiaccio precipitato nel corso della notte. Non ne vedo alcuno. Il terreno però è ricoperto di una sostanza granulosa dall’aspetto cristallino. Ne dispongo un pizzico sul palmo della mano. La esamino. La annuso. È brina. Sono miliardi di minuscole criometeore.

Editing di Viola Carrara

Hugo Bertello ha conseguito una laurea in fisica a Torino e una in cosmologia a Helsinki. Nel 2017 ha curato la prima traduzione italiana di un’opera di Wang Xiaobo (Oèdipus Edizioni). Attualmente vive a Lisbona, dove dirige un festival cinematografico. Ha scritto per CTRL Magazine, Nazione Indiana, Limina. La sua attività di ricerca esplora i confini tra tecnologia e pensiero magico.

In E i nostri volti, amore mio, leggeri come foto John Berger scrive: Per gli esseri umani il visibile è stato, e continua a essere, la principale fonte di informazione sul mondo. È attraverso il visibile che ci si orienta. Anche le percezioni provenienti dagli altri sensi si traducono spesso in termini visivi. (Le vertigini sono un esempio legato alla patologia: benché si originino nell’orecchio, vengono sperimentate come confusione visiva, spaziale.) È grazie al visibile che conosciamo lo spazio come precondizione dell’esistenza fisica. Il visibile porta il mondo a noi. Ma allo stesso tempo ci ricorda incessantemente che si tratta di un mondo in cui rischiamo di perderci. Con il suo spazio il visibile ci sottrae anche il mondo. Nulla è più a due facce di esso.

Come nella riflessione di Berger la fotografia di Federico Renzaglia indaga l’ambiguità del visibile. Il fraintendimento è rappresentato attraverso l’immagine di oggetti raddoppiati, sfocati, sovrapposti alla realtà con l’utilizzo di tecniche di ascendenza surrealista. Una collezione di scatti in cui il bianco e nero sottolinea la forma, ne constata la ripetizione, se ne libera frammentandola. Il linguaggio punk a cui il fotografo fa riferimento diventa dunque uno dei tanti modi possibili e contingenti per mostrare l’esistenza del doppio e per riappropriarsene. Uno sforzo anarchico di tenere insieme quel conflitto tra forze divergenti che risiede in primo luogo nell’oggetto degli oggetti, l’occhio. Non a caso l’occhio ritorna trasformato nella portiera di un’automobile, nel torsolo di una mela, nel nodo di una corteccia. Di occhi, sembra dirci Renzaglia, sembra fatto il mondo: di occhi che ci guardano, di occhi che noi guardiamo.

Livia Del Gaudio

Federico Renzaglia è nato a Roma nel 1986. Si occupa di fotografia da circa dieci anni ed ha pubblicato a suo nome Policlinico (2020), D/B/ShP (2021), SUMO (2022) e Bonifica (2024). Entusiasta del processo analogico, è attivo anche come stampatore. Nel 2020 ha fondato lo spazio di sperimentazione editoriale autoproduzioni Maledetto Cane, all’interno del quale si occupa di bookmaking, di editing e di curatela editoriale.

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