di Luana Doni

© Tommaso Donato
Ebbene, ecco almeno la gabbia, ed ecco questa giovane donna nella gabbia.
Non ci resta che ascoltarla
Jean Paulhan
«Poi so…», si legge in quello che è il secondo inizio di Histoire d’O. È la storia di O, ma ci sono anche io. Inquietante e molesta, la voyeuse che si muove segreta all’interno della storia è un occhio che guarda dal buco della serratura.
E cosa guarda? Ecco il punto: guarda se stessa o, almeno, un riflesso di sé. Anche senza tessere legami forzati con quanto detto da Barthes in merito alla figura dello scrittore1, lei, O, e chi la guarda, sono perse all’interno di quella famosa galleria di specchi, in cui l’immagine mancante corrisponde alla possibile uscita.
E lei, la nostra voyeuse, non avrebbe avuto nulla da dire se non fosse stato per O, se non avesse avuto l’intuizione di inventare O.
Anne Cécile Desclos, alias Dominique Aury, è austera segretaria generale, critica letteraria e compagna del noto editore Jean Paulhan a La Nouvelle Revue Française. E forse fu per gioco, oppure per amore come cantava Lucio Dalla, che Aury decide di avvalersi di un terzo alter-ego e di diventare Pauline Réage, l’autrice di uno scandalo editoriale nazionale.
«Spesso mi sono domandato cosa ci sia dietro le splendide fotografie di belle donne vestite con eleganza delle pagine delle riviste di moda», scrive Alberto Moravia nella prima prefazione italiana di Histoire d’O. Era il 1971. Esattamente un anno prima lo stesso Moravia pubblicava una raccolta di racconti dal titolo Il Paradiso. Spingendomi oltre la copertina vermiglia dalla grafica sinuosa scopro che lì, esattamente lì, sulla pagina, l’accigliato autore romano si divertiva a inventare la confessione di una giovane donna tormentata da una voce che, imperiosa nella sua testa, le ordinava azioni liberatorie da compiere, di volta in volta sempre più stravaganti. Gli ordini sono ordini2 e, tornando a noi, O esegue, portando avanti e indietro per il romanzo terga nude e dilatatori anali, attendendo nel silenzio il passaggio dei consumatori e restando, dignitosamente, o meglio, oggettivamente assente a uno spettacolo che la vorrebbe coinvolta e annientata. O è una schiava sessuale la cui libertà risiede nella folle accettazione della non volontà, nell’assenza di parola. Sinceramente? O mi terrorizza.
Mi chiedo se il mio minuscolo mondo è ancora capace di reggere uno scandalo come quello di Réage; ma che cos’è uno scandalo3? Ancora Barthes, ancora la galleria di specchi, ancora l’occhio della voyeuse e ancora io che ho perso la direzione. Mi volto per cercare la voyeuse che tutto vede ma non c’è nessuno, beh, non proprio nessuno: c’è O.


© Tommaso Donato
Recentemente ho riletto qualche pagina dedicata alla storia della nascita dell’eroina tragica per eccellenza: Emma Bovary; dalla penna del suo ottocentesco autore prende corpo una figura sfacciatamente attuale. Lo immagino come un disordinato e ansioso Geppetto, lui, Gustave, così sorprendentemente attaccato al parere altrui, a quello di lei, soprattutto, Louise4.
Pagine da riempire una galleria dalla lunghezza illimitata nel solo e unico scopo di restituirci l’immagine più attenta e minuziosa del nulla. Un roman sur rien. Un romanzo sul niente.
Ci è riuscito5? So solo che sul niente non ci avrebbero scritto niente e invece, negli anni Cinquanta, un uomo illuminato, Alain Robbe-Grillet6, stabilì che quel niente era il portale di accesso al romanzo moderno, che su quel niente centinaia di testi sarebbero stati scritti nella speranza di rappresentare, anche in minima parte, il buio che c’è sotto la vita degli uomini e delle donne nella società dei consumi, con la guerra sulle spalle e i morti da contare.
E si parla ancora oggi di consumi e di noia, di riscatto sociale, di apparire per essere, di sesso e di potere e di guerre e sembra di giocare insieme un mondiale Lupus in fabula, sospesi tra la paura di non riconoscere i lupi e quella di diventare uno di loro.
Ma lui, Gustave, nel suo amarissimo Ottocento, lo sapeva quello che avrebbe creato; ci ha svegliati dal torpore rassicurante che tutto ciò che vediamo è reale e che il reale è rappresentabile – «il romanzo è uno specchio» – lo ha detto Stendhal! – che le storie, da quelle della buonanotte alle letture pomeridiane, lo sanno dove vanno perché chi scrive lo fa seguendo una direzione che non ammette imprevisti, un unico binario centrale che viaggia fino alla fine del mondo, un mondo meraviglioso, un mondo che conosciamo. E ora spegnete la luce e fate bei sogni.
E invece no.


© Tommaso Donato
L’insonnia e la psicoterapia sono i fardelli dei tempi moderni e ho come la sensazione, sempre più pervasiva, che la cosa sia cominciata dall’inceppamento sul binario del nostro geniale Geppetto dal baffone a tendina che quando comincia a incidere il suo pezzetto di legno, comincia a sparire, lentamente, come la mia voyeuse, e sulla sua ormai opaca ombra di polvere e trucioli resta in piedi perfettamente scolpita la statua di una donna normale, Emma. «Di veramente bello, la signorina Emma aveva, invece, gli occhi: sebbene fossero grigi parevano neri a causa delle lunghe ciglia, il loro sguardo ti colpiva francamente, con candida arditezza7».
Emma vive nel suo secolo, con i crismi del suo tempo, con la moda del suo tempo, con lo spleen del suo tempo e con gli uomini del suo tempo. Se Flaubert l’avesse inventata adesso, Emma, sarebbe stata lo stesso una ragazza come tante, a cui i costumi contemporanei avrebbero tolto l’eleganza delle gonne di seta, delle velette e della libido espressa vedo/non vedo dentro alle carrozze, per restituirle un sito di incontri on line, i social network e il desiderio di rifarsi il corpo da capo a piedi per finire comunque, inesorabilmente, avvelenata nello stesso modo. Perché la storia non cambia, mai, perché per cambiarla bisogna guardarla da un’altra prospettiva. Lui, Gustave, lo aveva fatto; si era accucciato dietro al buco della serratura e aveva guardato, prima un ragazzino, Charles Bovary, con un cappello da deficiente e indescrivibile per altro che disabituava i suoi coetanei al rigore ascetico della veste da fraticello; e poi aveva lasciato lo stesso ragazzino incontrare Emma, quella che sarebbe diventata la musa e l’icona della morte degli ideali romantici. Dei suoi ideali? Chissà, fatto sta che Gus era con loro, in mezzo a loro, tra le foglie di quegli alberi che si adagiavano sulla carrozza in cui Emma Bovary e Léon consumano la loro passione. Ma “Nous étions à l’études quand..” parte tutto da lì e forse doveva essere tutta un’altra storia, quella di Charles, ma sono secoli che è la storia di Charles. Timidamente, e neanche troppo, Flaubert si fa strada attraverso la sua eroina in un mondo che cambia volto e forse non si sarebbe mai aspettato che nel 1954, quel Noi eravamo si sarebbe trasformato nell’ E poi so… di una donna che da quello stesso buco di serratura spiava le avventure di una schiava sessuale, di un’altra Emma Bovary, O.
Buio.
Editing di Livia Del Gaudio
Luana Doni. (Anno di Grazia 1990) si occupa di scrittura di donne nella Letteratura Francese del Novecento e Contemporanea. Collabora con varie riviste scientifiche italiane e gruppi di ricerca universitari italo-francesi. Nel 2022 pubblica il saggio dal titolo Intertestualità nell’opera di Violette Leduc edito da Miraggi Edizioni; è attivista letteraria e femminista ed è esattamente con questa funzione che usa il suo profilo Instagram. Incrocia volentieri il suo lavoro accademico con il teatro in qualità di interprete e assistente alla regia.





Protagonista della serie fotografica di Tommaso Donato è l’occhio. Anche (soprattutto?) quando appare nascosto: celato da capelli, oggetti di scena oppure da una luminosità sovraesposta.
Viene in mente l’occhio tagliato di Buñuel, i collage di Man Ray; in effetti l’occhio che compare al centro dei petali fissati da Donato appartiene al linguaggio surrealista. Eppure non bisogna farsi ingannare: la fotografia non cerca di decifrare un simbolismo inconscio, si rivolge alla realtà nei suoi aspetti più delicati e transitori. Il mondo vegetale è chiamato in causa per parlare di sparizione prima che di morte. Un universo in cui la fragilità preserva dall’imperativo della durata a tutti i costi: bellezza e gioventù sono il risultato di un gioco di luci piuttosto che il podio di una gara.
L’attenzione all’equilibrio compositivo rende le immagini classiche, non accademiche: questo consente al fotografo di muoversi nel margine della sperimentazione saturando i bianchi, prolungando il tempo espositivo. Il racconto di un istante infinito, un occhio spalancato alla luce.
Livia Del Gaudio
Tommaso Donato (1990) si avvicina alla fotografia affascinato dalle suggestioni visive del cinema classico, disciplina che ha approfondito studiando come direttore della fotografia. La sua ricerca è fortemente influenzata dall’arte in tutte le sue forme, e nelle sue immagini emergono spesso visioni che oltrepassano la realtà quotidiana, aprendo scenari in cui lo spazio e il tempo seguono percorsi propri. Nel maggio 2022 è stato invitato a esporre a Parigi per ImageNation Paris e successivamente ha portato i suoi lavori in diverse mostre in Italia. Tra queste la Biennale MArte Live a Roma (ottobre 2022), dove ha partecipato come rappresentante calabrese della sezione fotografia. Inoltre la sua fotografia, dal carattere narrativo e poetico, si intreccia naturalmente con la scrittura d’autore. Di recente, il suo scatto Legame è stato scelto come copertina del libro “Il cielo comincia dal basso” di Sonia Serazzi, pubblicato da Rubbettino Editore per la collana Velvet.
- «Tutto ciò che forniva i requisiti all’immaginario (temi, ripetizioni, indizi, fabulazioni, canovacci) a poco a poco è uscito dalla scrittura, giacché abolire il racconto vuol dire travolgere il fantasma. Occorre pensare allo scrittore (o al lettore, ma è la stessa cosa) come a un uomo smarritosi in una galleria di specchi: c’è un’uscita dove manca la sua immagine e lì c’è il mondo». Cfr, R. Barthes, Sollers scrittore. La dissidenza della scrittura, Milano, Sugarco edizioni. ↩︎
- È il titolo del racconto di Moravia. ↩︎
- La frase si riferisce alla raccolta di scritti inediti di Roland Barthes pubblicati in Italia da L’Orma editore. Cfr., R. Barthes, Cos’è uno scandalo Testi su se stesso, l’arte, la scrittura e la società. Scritti inediti 1933-1980, Roma. L’Orma, 2021. ↩︎
- Louise Colet è stata una poetessa francese con la quale Flaubert intrattenne una lunga relazione amorosa e una folta corrispondenza all’epoca della stesura di Madame Bovary. ↩︎
- Quel “niente” è volutamente provocatorio; Flaubert il romanzo sul niente lo ha scritto e quel niente è da intendersi come il disinteresse di Flaubert nei confronti della storia e dei personaggi e l’interesse, invece, per la scrittura, per l’origine della scrittura, per quella mancanza che dà origine alla scrittura, Barthes avrebbe definito tutto ciò modalità. ↩︎
- Teorico e esponente del Nouveau Roman, Alain Robbe-Grillet è stato un romanziere, saggista e regista cinematografico francese. Nel 1955 pubblica il romanzo Le Voyeur in cui «una serie di sguardi immobili e paralleli, sguardi inquieti, quasi ansiosi, si aprivano un varco»… ↩︎
- G. Flaubert, Madame Bovary, Milano, Mondadori, 2001. ↩︎