La possibilità di restare innamorato – la matematica come forma di narrazione. Ipertesto.

© Alessandro Luporino.

Évariste Galois.

Leggendo la biografia di Evariste Galois è possibile riscontrare gli elementi di una vera e propria narrazione: genialità, sfortuna, scontro sociale, romanticismo, morte precoce.

Magrolino, ventenne, scarruffato. Evariste Galois muore in un ospedale per una peritonite  causata da un colpo di pistola ricevuto in pancia. Il fratello Alfred – a cui scrisse “mi serve tutto il mio coraggio per morire a vent’anni” – lo assiste, nessun altro. Aveva pochi amici, Galois, e una straordinaria abilità nel cacciarsi nei guai che si era manifestata presto, quando era ancora uno studente del liceo “Louis Le Grand”, un istituto prestigioso, noto tanto per la qualità dei suoi insegnamenti quanto per le dodici stanzette in cui venivano rinchiusi gli allievi indisciplinati. Galois le frequentava spesso, complice il fatto che non nascondeva il suo disprezzo per le materie che non fossero la matematica, di cui si era follemente innamorato dopo la lettura degli “Elementi di geometria” di Legendre. Pubblica il suo primo articolo di ricerca a soli 15 anni, ma la sua carriera di matematico sarà segnata da una serie di eventi sfortunati, oltre che dall’ostilità di colleghi affermati, in parte restii a sostenere un giovane che si rifiutava di ossequiare la loro autorità, in parte confusi di fronte alle dimostrazioni di Galois, troppo complesse per essere prese in considerazione dall’Accademia francese.  

È con questo bagaglio di esperienze che Evariste si avvicina al 31 maggio 1832 e al duello che lo lascerà riverso sul ciglio di una strada vicino allo stagno Glacier, dove sarà soccorso da un contadino di passaggio. Dicono che lo sfidante fosse un esecutore assoldato dalla polizia di Luigi Filippo, alla cui salute Galois avrebbe brindato con un coltello in mano, testimone Alexadre Dumas; Galois stesso avrebbe invece addotto la causa del duello a un affaire sentimentale, in cui sarebbe stata coinvolta una tal Stephanie, una “civetta” conosciuta in una casa di cura presso la quale Galois stava scontando gli ultimi giorni di pena, una delle tante.    

Quel che è certo, è che Evariste trascorre la notte del 30 maggio 1832 scrivendo compulsivamente agli amici, ordinando gli appunti dei suoi ultimi lavori e predisponendo un testamento contenente le sue scoperte indirizzato a Chevalier, sodale di idee repubblicane e acceso oppositore della monarchia. Pare, insomma, che Galois fosse sicuro di morire, forse perché era esattamente quello che andava cercando: offrirsi come cadavere per scaldare gli animi del popolo parigino contro il nuovo regime. Non sapremo mai come andarono veramente le cose: se fosse stato veramente un duello per amore, se la polizia si fosse intromessa per eliminare un oppositore, o se fosse questa una diceria fatta circolare ad arte per sobillare la folla. Quel che sappiamo, invece, è che la matematica giuntaci dopo quella notte avrebbe cambiato la storia dell’algebra e dei suoi metodi operativi. 

Microonde.

Chi utilizzava le microonde dei radar non aveva idea che sarebbe stato possibile utilizzarle per cucinare, finché Spencer nel 1939 non si accorse che la cioccolata nella sua tasca si era sciolta.

Era il 1939 e Percy Spencer era un ingegnere autodidatta alle prese con un esperimento sui magnetroni, ovvero tubi a vuoto ad alta potenza, impiegati nella costruzione dei radar. La barretta sciolta che si ritrovò nella tasca dei pantaloni, il cioccolato appiccicato alle dita, gli suggerirono che probabilmente le microonde che stava monitorando avrebbero potuto trovare un altro impiego, molto più domestico rispetto a quello noto fino ad allora – qualcosa che aveva a che fare con la guerra, e poi con le previsioni meteo, e poi con la rilevazione della velocità delle auto. 

Insomma, qualcosa che avrebbe avuto a che fare con le cucine e con le donne anni Cinquanta, i sorrisi perfetti delle pubblicità patinate. 

Incominciò a parlarne ai colleghi, Spencer, e dovettero credergli, dopo che lo videro cuocere i popcorn e addirittura un uovo, semplicemente avvicinandosi ai magnetroni.

I primi forni a microonde furono prodotti nel 1947 dalla Raytheon; costavano 5mila dollari e erano alti quanto un frigorifero. Un completo fiasco, dal punto di vista commerciale. Le famiglie erano diffidenti, i costi erano troppo alti, il marchingegno troppo ingombrante. L’intuizione, però, quella era buona: alla metà degli anni Settanta l’andamento del mercato subì un’inversione di rotta e l’invenzione di Spencer entrò di diritto nella lista delle proprietà che ogni famiglia media (americana) sarebbe stata destinata a possedere. 

Il teorema di Fermat.

Quel burlone di Fermat lasciò una piccola nota riguardante il suo teorema, ovvero che possedeva una dimostrazione brillante ma che questa non poteva rientrare nel margine della pagina e che quindi non l’avrebbe riportata. Pare il gioco di un giallista. Nei secoli qualcuno provò a risolvere il mistero: Eulero dimostrò il teorema per n=3, Legendre per n= 5 e Sophie Germain, tentando di risolverlo, inventò dei nuovi numeri chiamati numeri primi di Sophie Germain. 

Mercatura e giurisprudenza sono nel destino di Pierre de Fermat: la mercatura gli viene dal padre, un commerciante di cuoio; la giurisprudenza dagli studi, che lo portano a diventare avvocato al Parlamento di Tolosa e poi Consigliere del Re. Nel tempo libero si diletta di letteratura e matematica, campo nel quale ha intuizioni fulminanti, condivise soprattutto con alcuni amici, quasi mai pubblicate. L’ultimo teorema noto a cui lavora, ad esempio, lo appunta nel 1637 ai margini dell’Arithmetica di Diofanto di Alessandria, peraltro già fittamente annotati: 

È impossibile separare un cubo in due cubi, o una potenza quarta in due potenze quarte, o in generale, tutte le potenze maggiori di 2 come somma della stessa potenza. Dispongo di una meravigliosa dimostrazione di questo teorema, che non può essere contenuta nel margine troppo stretto della pagina.

Lo stesso teorema sarebbe entrato nella storia di un’altra figlia di mercanti, Sophie Germain, “possidente terriera”, secondo l’epigrafe incisa sulla sua lapide, in realtà matematica votata all’esercizio continuo della sua vocazione, per quanto consapevole del “ridicolo inevitabilmente associato alla condizione di donna studiosa”. Nata quasi un secolo dopo Fermat, nel 1776,  Sophie è giovane in un paese che sta cambiando pelle. è curiosa; per fortuna ha a disposizione la biblioteca paterna. In uno dei libri che compulsa avidamente legge, a tredici anni, di come morì Archimede, trafitto da un soldato romano perchè troppo occupato a elucubrare su dilemmi matematici. Muore Archimede, ma nasce Antoine-August Le Blanc, lo pseudonimo con cui Sophie s’iscrive all’École Polytechnique per poter continuare i suoi studi, già intrapresi sotto la guida di un tutore privato. Il sotterfugio dura fino a quando la bravura di Sophie la costringe a uscire allo scoperto, per presentarsi a Lagrange, tanto desideroso di incontrare quell’allievo – Le Blanc – così brillante. Allora Sophie si riappropria di nome e identità. Comincia a lavorare al fianco del suo maestro: studia, ad esempio, il teorema di Fermat, per il quale scova un numero primo, il numero di Sophie, e si dedica poi alle vibrazioni delle superfici elastiche, giungendo a scoperte che avrebbero reso possibile la costruzione della Tour Eiffel – sebbene, in questo caso, nessuno si sarebbe ricordato di menzionare il suo contributo. 

A onor del vero, il talento di Sophie è riconosciuto da alcuni colleghi, tra cui Gauss – Gauss a cui Sophie avrebbe salvato la vita, per evitargli la fine di Archimede. I due avrebbero intrapreso un fitto scambio epistolare, denso di riflessioni inerenti  il loro lavoro, ma anche di osservazioni di natura più personale, come questa che, uscita dalla penna di Gauss, ci piace ricordare:  “Una donna, a causa del suo sesso e dei nostri pregiudizi, incontra molti più ostacoli di un uomo nel familiarizzarsi con problemi complessi. Tuttavia, quando supera queste barriere e penetra nelle profondità più recondite, rivela di possedere il coraggio più nobile, un talento straordinario e un genio superiore.” 

Per approfondire: http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/marie-sophie-germain/

Italo Calvino.

Nato e cresciuto in una famiglia di biologi, Calvino si è sempre nutrito di matematica nella stesura dei suoi scritti. Due esempi: “Lezioni americane” e “Le città invisibili”. Nelle “Lezioni”, un volume che racchiude gli interventi che avrebbe dovuto svolgere all’università di Harvard, lo scrittore racconta la sua predilezione per il racconto breve, la sua idea di scrittura come strumento di controllo. E lo fa intitolando i sei interventi a concetti molto vicini alla matematica: leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità e coerenza. 

Six Memos for the Next Millenium è il titolo originale dato da Calvino alla raccolta di lezioni che aveva preparato per il seminario ad Harvard; Lezioni americane il nome con cui Pietro Citati era solito chiamare quel lavoro che tenne impegnato lo scrittore fino a pochi mesi prima della morte, avvenuta nel settembre 1985, e che la moglie scelse per l’edizione italiana. Lezioni americane, dunque, ma anche Proposte per il nuovo millennio, quelle che, individuate in sei concetti chiave, Calvino avanza sotto forma di discorso suntivo della sua esperienza di autore di fiction. Lo fa appoggiandosi, da un lato, alla tradizione classica e, dall’altro, alla letteratura contemporanea, poste su un equilibrio retto dalle immagini del mito, sempre vere e sempre vive in quanto nate libere dalle catene del tempo. Ne emerge un’idea di letteratura dal forte impegno morale, votata ad accogliere ciò che nel mondo vi è di pesante, di pietrificato, per riscattarlo alla luce di un’umanità più profonda, che ha imparato a maneggiare un “sapere agile e antico”, con il quale affrontare le sfide poste dal “labirinto mondo”, di risonanze borgesiane; ma anche un’idea di letteratura salvifica, in grado di contrastare la peste diffusasi nel linguaggio, conferendo visibilità al ragionamento, adottando la rapidità di una logica stringente e limpida come un cristallo.

«L’eccessiva ambizione dei propositi può essere rimproverabile in molti campi d’ attività, non in letteratura. La letteratura vive solo se si pone degli obiettivi smisurati, anche al di là d’ ogni possibilità di realizzazione. Solo se poeti e scrittori si proporranno imprese che nessun altro osa immaginare la letteratura continuerà ad avere una funzione. Da quando la scienza diffida dalle spiegazioni generali e dalle soluzioni che non siano settoriali e specialistiche, la grande sfida per la letteratura è il saper tessere insieme i diversi saperi e i diversi codici in una visione plurima, sfaccettata del mondo».

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