di Aurora Dell’Oro

Giada è amica di Lisa, che dovrebbe avere la pelle fredda serpente, e invece no. La maestra ha aspettative che l’esperienza contraddice. La sua bussola interiore s’è smagnetizzata. Si lascia portare, leggera, da emozioni che si susseguono rapide come onde: dapprima è presa da un grato incantamento, poi si raggruma nel senso di colpa. Diventa nervosa. Esce dall’acquario, pensa di avere fallito: quello che ha visto, che ha fatto vedere ai bambini le è sembrato, all’improvviso, mostruoso. Si porta dietro la classe come un’appendice di cui si sente inadeguata responsabile.
Lisa, che si fa voler bene da Giada, è un peso a piombo. Il suo è un agire senza parole. I propositi le precipitano precisi sul fondo della volontà. I pensieri di Lisa sono fatti di nodi; sono pensieri che lascia andare in fretta per orientarsi nell’ambiente in cui si trova. Decide: cosa le piace e cosa no. Per cosa prova simpatia e per cosa no.
Così, nella mano che lascia cadere il bicchiere, non c’è solo la sua volontà vendicativa: c’è l’occhio offeso del cavalluccio di mare; c’è il desiderio di liberarsi da un imbarazzo. È nel sogno che Lisa trova il suo ambiente ideale; Lisa non parla, ma a farlo per lei è il pesce-chimera, il pesce ircocervo che la perdona e sigla un’alleanza tra le specie. Ha riconosciuto in lei la sua unica, potenziale salvatrice, perché Lisa è stata capace di vederlo. La bambina sbuccia il visibile come un frutto di cui desidera solo il nocciolo. La polpa ottunde la percezione del nucleo solido a cui si sente affine. Simpatetica.
Sharon Vanoli racconta un femminile plurale che valica i confini della biologia, un femminile diffratto che agisce sia sul piano della realtà che su quello dell’inconscio. L’io che si nasconde dentro Lisa è quello di una creatura di mare, immersa nel suo elemento come la bambina lo è nella dimensione onirica. La nascita di Lisa non si è compiuta del tutto: occorre ancora uno strappo, una forza che la chiami a sé, per farla entrare, tutta intera, nel mondo reale.
Lisa è un personaggio in-conosciuto: ciò che il racconto non dice, e cioè le motivazioni del suo agire, è quanto la rende così simile agli animali in cui si identifica o su cui si proietta. La bambina obbedisce a una logica fiabesca, per la quale la violenza improvvisa è giustificata da un senso di giustizia non più percepibile dall’adulto. Lisa è una creatura di profondità, così come la maestra è una creatura di superficie, mentre l’amica, Giada, ha già cominciato a lasciare quel mondo di sogno a cui invece Lisa è ancora legata (il senso di colpa, l’imbarazzo per il bicchiere vuoto). Le norme imposte dalla famiglia e dalla scuola hanno già cominciato ad attecchire.
Nel racconto avviene dunque una sorta di rovesciamento del paradigma fiabesco. Se il percorso di iniziazione dell’eroe o dell’eroina conduce infatti al superamento della dimensione onirico-soprannaturale di cui l’infanzia si nutre, qui il raggiungimento dell’età adulta sembra essere poco desiderabile, perché escluso dal contatto col mistero.
Qui per leggere il racconto di Sharon Vanoli:
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