a cura di Aurora Dell’Oro

© Silvia Venturi
La chioma di Berenice: da Callimaco a Poe
In Capelli di Sinéad Gleeson, Berenice, anzi Bernice, è la protagonista di un romanzo di Fitzgerald in cui ricopre il ruolo della campagnola un po’ sprovveduta e poco brillante, ma dotata di una bellissima cascata di capelli. Nomen omen, si direbbe. Perché Berenice è anche al centro del mito che ha ispirato il poeta greco Callimaco il quale, negli Aitia, racconta l’origine del nome della costellazione omonima: la Chioma di Berenice, appunto.
La storia, come spesso accade nei miti greci, è bizzarra; ma a lieto fine. Berenice, regina d’Egitto e moglie di Tolomeo III, consacra alla dea Afrodite la sua chioma, per propiziare il ritorno in patria del marito, partito per combattere in Siria. La dea accetta il voto: Tolomeo ritorna: e i capelli di Berenice, all’improvviso, scompaiono. Conone, astronomo di corte, punta il dito verso la volta stellata ed esulta: eccola là, la meravigliosa chioma di Berenice, a brillare tra le stelle.
Ma la vertigine non è finita. Catullo rilegge Callimaco e vorrebbe averla raccontata lui, quella metamorfosi di capelli in costellazione. Lo vorrebbe così tanto che lo fa, racconta il mito, traducendolo. Passano i secoli. Siamo alle soglie dell’Ottocento. Foscolo legge Catullo che aveva letto Callimaco e il desiderio che lo muove è lo stesso. Così non traduce, ma volge in volgare la traduzione, latina, di una poesia, greca.
[…] Tanto Al ferro cede! Or che poriano i crini? Tutta, per Dio! de' Calibi la razza Pera, e le vene a sviscerar sotterra, E chi a foggiar del ferro la durezza A principio studiò. – Piangean le chiome Sorelle mie da me dianzi disgiunte I nostri fati; allor che appresentosse, Rompendo l'aer con l'ondeggiar de' vanni, Dell’Etiope Mennone il gemello Destrier d'Arsinoe Locrïense alivolo: Ei me per l’ombre eteree alto levando Vola, e sul grembo di Venere casto Mi posa. […] (Catullo, carme 66, traduzione di U. Foscolo, vv. 58-71)
Andiamo avanti di qualche anno. È il 1835. Berenice ritorna, questa volta in un racconto di tutt’altro genere. A scriverlo è Edgar Allan Poe e siamo in America. Egeo sta per sposare la cugina, Berenice. Ma la giovane si ammala, la sua salute peggiora e cade in uno stato di catalessi così profonda da assomigliare alla morte…
«La fronte era alta, pallidissima e supremamente serena; i capelli, una volta di un nero corvino la coprivano in parte e ombravano le tempie incavate colle fitte anella, ora di un biondo caldissimo; e quel tono capriccioso di colore stonava dolorosamente colla malinconia dominante sulla sua fisionomia. Gli occhi erano senza vita e senza splendore, come senza pupille, e involontariamente io distornai lo sguardo da quella vitrea fissità, per contemplare le labbra affinate e aggrinzite. Esse si aprirono e in un sorriso stranamente espressivo i denti della nuova Berenice si rivelarono lentamente alla mia vista. Non li avessi mai guardati o fossi io morto subito dopo averli guardati».
(E.A.Poe, Racconti straordinari, trad. it. di G. A. Sartini, Bemporad, 1911)