di Viola Carrara e Fabiana Castellino

© Maria Filosa
Riprendiamo il filo di Specie, luogo di sutura dei testi uno con l’altro, di unione di significati e di nuove creazioni. Vogliamo dare spazio alle voci raccolte dall’inizio dell’autunno, attraverso la lente d’ingrandimento dello spaesamento, parola che è risuonata più volte in ciascuno dei pezzi.
Se a metà Novecento eravamo spaventati dal materialismo dilagante insito nell’era del capitalismo, a riemergere ora sono le preoccupazioni di filosofi, come Jean Baudrillard, che teorizzano l’avvento di realtà simulate, prodotte dalle tecnologie, capaci di influenzare la nostra. Così riflette Martina Maccianti ne Il vero si è spezzato, desiderare di esistere fuori dal reale, un testo che mette in mostra una prepotente volontà di fuga da un mondo che non rispecchia più i nostri ideali.
Nella suggestione di Claudia Grande, anch’essa ispirata a Baudrillard, in Kill your personal branding: uccidi il tuo io social prima che ti uccida, il sentimento prevalente è l’impossibilità di trovare un centro, qualche volta persino morale, che faccia da motore alle azioni. L’angoscia che ne consegue sembra un’emozione tutta moderna.
Seppur con mille interrogativi, siamo costretti ad ammettere di non essere soli, anche se qualche volta ci piace crederlo, come esprimono gli autori Lorenzo Marchese (Addomesticare il fondo) e Alessandro Busi (La teoria dei colori), di fronte a un vuoto esistenziale. Che sia un lutto o una separazione, l’uomo si è dovuto confrontare con il riordino dei propri sentimenti fin dall’origine dei tempi. Anche se per qualcuno significa fuggire in mondi immaginari, dissociati, fatti di codici binari. E tuttavia, da fucina di sperimentazione quale siamo, è doveroso ammettere che il suono prodotto dalla cassa di risonanza degli artisti sia davvero la paura, anche se, alle volte, non si sa di che cosa. Forse la soluzione è tornare a noi stessi, al nucleo nostalgico delle nostre esperienze, quel mandala di cui parla Mario Emanuele Fevola nel suo Mandalica: per una geometria dell’abisso.
Se continuiamo a guardare attraverso la lente dello spaesamento troveremo percorsi che non sono stati tracciati di proposito, e che pure esistono, come se gli autori, in qualunque parte del mondo si trovino, avessero lo stesso stato d’animo.
Nella ricerca di testi di lingua spagnola, si è riscontrata una linea comune: gli autori si perdono dentro sé stessi e si cercano disperatamente. Juan Pablo Martìnez Cajiga in Quel signore allo specchio si smarrisce nei grovigli del suo stesso io, va alla ricerca di sé, ma fa di tutto per tornare, quasi a indicare che è proprio l’io il luogo in cui è più facile perdersi. Daniel Mocher invece in Piante da interni non cerca nemmeno più in quello spazio, si appiglia a forme di vita vegetali, che restano solide in sé stesse, senza nessuna contraddizione, nessuna frattura interna. Lo spaesamento, insomma, non è solo nel mondo, ma è nel luogo in cui il mondo si riflette, e dall’altra parte dello specchio ci siamo noi.