un racconto di Gabriele Esposito

© La caduta, Vittorio Ruglioni, 1978
Lei, noi – ma soprattutto voi – a debita distanza
di Gabriele Esposito
Ci chiamavamo Giulia Ferrari ed eravamo in tante. Non ci vedevate nemmeno. Non ci chiamavate mai.
Altri invece pensavano di vederci e ci chiamavano, ma in modo maldestro: quando Giulia Ferrari vinse il talent di canto e di ballo, una tra noi – Giulia Ferrari – si ritrovò la mail piena di vostri complimenti, vostre prove di fedeltà non richieste, giudizi carnali non attinenti a come Giulia si rifletteva nello specchio. Non erano messaggi per lei, erano missive di culi tosti e pance piatte, lettere di seni forti e cosce allenate. Qualcuno tra voi si stava sbagliando e di molto. Bisognava verificare nella rete, cercare Giulia Ferrari, tra le immagini e tra le news. Soprattutto tra le news. E scoprire che sì, c’era una Giulia Ferrari e il vostro voto popolare l’aveva fatta vincere proprio quella sera, Giulia Ferrari era trendy. E voi volevate scrivere a Giulia Ferrari.
Solo: l’indirizzo gmail più facile associato a quel nome non era quello di Giulia Ferrari, a leggere era un’altra Giulia Ferrari. Una di noi.
E quella immaginava che aveste scritto a Giulia Ferrari ovunque, e che no, non foste riusciti a farvi rispondere da lei. Né da noi.
Quella immaginava tutte noi Giulie Ferrari aprire le mail, ci immaginava trovare complimenti per la vittoria del talent di canto e di ballo, immaginava tutte noi come lei, tutte a non capire nulla se non, dopo la breve ricerca in rete, di essere nulla sia per voi che per Giulia Ferrari.
E anche Giulia per reazione scrisse a Giulia Ferrari su indirizzi mail tentati e azzeccati. Tante mail a caso, tutti gli indirizzi mail che uno possa immaginare appartenenti a Giulia Ferrari. Lo fece attaccando dio invece di attaccare voi. E come voi, non trovò Giulia Ferrari, bensì noi. Tutte noi. E anche noi attaccammo il cielo nel rispondere a Giulia, come se Giulia fosse stata Giulia Ferrari e non lo era, pur essendolo.
Giulia Ferrari aveva rubato il nome a tutte noi, lei si era resa unica e forse questa era la sua colpa. Andava tenuta a distanza. Decidemmo la clausura: noi, tutte insieme, senza di lei.
Quella volta – quella volta lì – ci mettemmo d’accordo, con il vostro implicito beneplacito.
Ci riunimmo tutte nella fresca e buia casa di pietra di Giulia Ferrari, una tra noi che cucinava bene, una persona pulita, attenta ai nostri bisogni. Forse la più brava tra noi a mitigare la propria rabbia. Rabbia che, nonostante fossimo diventate quasi delle monache, continuava a manifestarsi in modi poco appropriati, blasfemi – di certo le ingiurie contro il povero dio ma anche, e soprattutto, contro noi stesse. Non eravamo come la Giulia Ferrari vittoriosa e c’era sempre una tra noi che si divertiva a farlo presente alle altre. Da qualche parte, lì fuori, Giulia Ferrari rideva.
Ogni volta che una tra noi Giulie Ferrari moriva – forse di stenti o forse per qualcosa al cervello, o al fegato, o ancora per le sevizie imposte di quelle tra noi che ormai non avevano più senno – veniva portata in una stanza appartata, lontana ma non troppo, così che potessimo visitarla. La preparavamo: vestita, truccata – la stessa tinta del rossetto di Giulia Ferrari, lo stesso brand di mascara pubblicizzato nel talent di canto e di ballo – Giulia veniva infine installata su una delle sedie ancora libere, sedie semplici, di paglia, con un buco nel mezzo. Il buco dava su un secchio, il secchio riceveva i liquami di Giulia, giorno dopo giorno.
I liquami nutrivano la nostra rabbia. Li vedevamo, li respiravamo, e ci accorgevamo che quello strazio era nulla, il nulla che eravamo diventate.
E quando voi continuavate a scrivere a Giulia, a mandare le vostre mail a Giulia Ferrari, Giulia Ferrari continuava a non rispondervi. Chissà nel mondo dov’era, ora, quel corpo tanto perfetto e così lontano da qui. Nemmeno noi rispondevamo: più non ci curavamo di leggere.
Giulie Ferrari occupavano ormai una ventina delle sedie della stanza, la morte collettiva aveva partorito larve e queste erano diventate adulte, avevano messo le ali e accompagnavano una Giulia che si occupava dei nostri corpi in processione, le ronzavano attorno alla testa mentre sollevava i vasi e li svuotava dalla finestra. Accompagnavano prima Giulia e poi il contenuto dei vasi, raggiungevano l’aria, la libertà.
L’odore di tutto ciò era assai difficile da sopportare. Eppure calmava la nostra rabbia: silenzio e aria pesante.
Venne il giorno che Giorgia Colombo vinse il talent di canto e di ballo. Voi la smetteste subito e per sempre di scriverci.
Noi invece morimmo tutte. L’ultima Giulia solo pochi attimi dopo Giulia Ferrari: la sconfitta e la vostra disattenzione dovevano esserle state funeste.