Tiziano Fratus

Fino ad un certo punto, lungo il tragitto che separa, o che unisce, la soglia dei trenta e quella dei quarant’anni, il tempo ha avuto una certa discrezione: transitava, si consumava, ma mi lasciava il modo di lavorarci dentro, di aspettare, di tentennare, o di accelerare il più possibile. Potevo perdermi, deprecare tutta la mia irrisolutezza o inabilità, oppure correre, toccare, stringere, gioire, godere, e aggrapparmi e conquistare e condividere, sai, tutte quelle mete che ti senti in obbligo di raggiungere per essere come gli altri, talora, o meglio degli altri, talora. Ma da un certo punto in poi ha iniziato a non darmi più modo di adattarmi, a correre non sono più stato io nel tempo, ma è stato il tempo a correre in me. Attorno e dentro di me. Ti rendi conto insomma che per fare le cose bene – è soggettivo ma anche effettivo – ci vuole molto più tempo e tu non ne hai. Ne hai troppo poco, e quindi devi scegliere, selezionare, rinunciare. Il limite del quale facevi sfregio e che schernivi nella tua sontuosa irripetibile giovinezza, ora è diventato insormontabile. E ci vanno energie, e ci vuole metodo, per riuscire a ricomporti dentro questo nuovo viaggiare. Finché quel limite, quei limiti diventano addirittura rocce solide, appigli, punti di partenza, sono i tuoi nuovi punti cardinali. E non è male, soltanto diverso.
Quando questa nuova vita, l’ennesima, ha iniziato a prendere forma e a terraformarmi, come direbbero gli amanti di letteratura fantascientifica, mi sono imbattuto nel buddismo, che già in precedenza avevo adocchiato, leggiucchiato, sbirciato. E ci sono cascato dentro, questa volta non è stata una sbronza di esotismo, ma l’inizio di un sentiero lungo e periglioso che ogni giorno assume forme inedite e mi accompagna, in ogni respiro – un poco di retorica non guasta mai.
Ora, molti miei coetanei hanno scoperto o stanno scoprendo il valore pedagogico e filosofico del silenzio, del bosco, del meditare, e ok, penso sia un processo di economia ed ecologia di se stessi che si innesca nella vita di persone che abbandonano la pura e gioiosa e schietta giovinezza e si inoltrano nelle stagioni successive, quelle dei padri e poi nonni, o degli adulti che guardano ai più giovani con ciglio severo o con inesplicabile desiderio e malinconia. Forse entrambe, chissà. C’è chi poi inizia a predicare di questo silenzio, di queste vie spirituali e religiose, come se fossero obblighi individuali di tutti coloro che pensano di meritarsi qualcosa di meglio, ma secondo me è opportuno, se possibile, chinare il capo, proseguire nel cammino, qualunque forma assuma, e fare più silenzio che non rivendicare silenzio. In questa nuova età che non ha più nulla a che vedere col calendario e l’anagrafe, uno dei modi che ho esperito per vivere appieno il poco e veloce tempo è proprio quello di meditare in natura, di coltivare quelle che chiamo spiritosamente meditatio silvestris o meditationes silvestres, o anche orchestra dei semi e delle radici, lezioni di boschese. Fare esperienza e pratica del bosco che c’è in me, della foresta che si alimenta di foresta e che ne partorisce, quell’incrocio, quell’innesto di preghiera, silenzio, ascolto e immaginazione.
«Sedete su un cuscino di foglie, su un nido di radici, accanto allo scorrere mormorante di un ruscello e sotto la volta frondosa di un abbraccio di alberi. Ogni voce del bosco opera in voi come i sermoni degli antichi maestri. Lasciateli camminare, non separate la mente dal cuore: che i muschi, le maree e i temporali attecchiscano in voi», ho scritto in un quaderno (zen) che ho intitolato Il tessitore di foreste.

Poi però mi sono anche accorto che a questi luoghi altri, talora remoti, talora prossimi, dovevo riconsegnare qualcosa. Non soltanto pescare e prendere. Non solo le parole che mi piace, come poeta, come autore, alambiccare, con quel tot di vanità che ci vuole o comunque si presenta; era quasi urgente che riconsegnassi delle parole al bosco che me le aveva suggerite. Parole e poesie cucite irradiato, influenzato, guidato, accompagnato dalle dinamiche del bosco e della cosiddetta natura. Ma anche poesie non mie, come ho fatto quando alcuni anni fa raggiunsi quel posto nascosto a Dio che è Marradi, nel cuore dell’Appennino tosco-emiliano, dove aveva vissuto da giovane Dino Campana, e in un tristissimo autunno, visitai alcuni castagneti storici, con alberi cavi, spaccati, denudati, oscenamente privi di quella magnificenza che mi sarei aspettato da boschi plurisecolari. Anche esemplari con tronchi di 6 o 8 metri, quindi castanodònti di tutto rispetto. Eppure posando a terra la nuca e ascoltando l’autunno che si andava ad esaurire, lo spirito del poeta non mi pareva essersi placato. Mi sono sempre chiesto se le anime di coloro che hanno vissuto nell’ossessione siano destinate a non trovare pace nemmeno dopo il termine della vita, così come impariamo a conoscerla. Domanda, domande, domande.
In quei castagneti, da solo, ho aperto il libro di poesie di Campana e ne ho letto alcune, ai rami spogli, alle foglie accartocciate, alle nuvole che risalivano le colline e presto avrebbero versato lacrime su queste lande boscose. Ricompensare la terra, mi sono detto, ricompensare anche se non è spettacolo, non ha senso forse nemmeno star qui a scriverne, d’altro canto chi prega prega per se, suppongo per qualcuno che non può sentire. Lo stesso ho fatto nel corso degli anni con certe pagine di John Muir, recitate a fior di labbra fra le sue amatissime sequoie in California, in quel punto di mondo che porta il nome che lui stesso diede, Giant Forest, se non rammento male nel 1875, cento anni prima della mia nascita. E così ho letto, su territorio francese, ad esempio quando vado in pellegrinaggio alle foresta di ginepri turiferi di Saint-Crépin, nelle Alte Alpi, tre ore di macchina dal mio modesto eremo, pagine di autori amatissimi, come Jean Giono e Jacques Brosse, le poesie arboree di Jacques Prévert e Philippe Jaccottet. O passi delle notazioni forestali di un certo Mario Rigoni Stern, una citazione scontata, troppo facile, mentre ero in viaggio nei boschi veneti. Anche in Giappone, mi è capitato, con alcuni haiku, componimenti di eremiti e maestri zen, letti per me, sottovoce, quasi a non voler disturbare i fili d’erba, i sassi, i muschi.
Ha un senso tutto questo al di fuori del mio immaginario agreste e pastorale? Non saprei. Comunque, concludo segnalando alcune delle destinazioni ricorrenti dove sono stato, e sono ritornato, per tenere letture agli elementi; magari di qualcuna ne avete sentito parlare, o magari ci siete addirittura stati.

Lago di Trana o Lago piccolo di Avigliana (Torino)
Gran Bosco del Salbertrand (Sauze d’Oulx, Torino)
Riserva del Mont Avic (Champdepraz, Aosta)
Bosco monumentale dell’Alevè (Casteldelfino, Cuneo)
Castagno monumentale Tabudiera d’ Titta (Melle, Cuneo)
Faggeta del Palanfré, Alpi Marittime (Vernante, Cuneo)
Flotta di Bien, Gran Paradiso (Valsavarenche, Aosta)
Olivastri millanari (Luras, Sassari)
S’Ortu Mannu e La Reina (Villamassargia, Sud Sardegna)
Ginepro La casa del poeta (Arbus, Sud Sardegna)
Larice monumentale Lou merze gross (Pietraporzio, Cuneo)
Castagno monumentale Pianta Maria Bona (Crodo, Verbania)
Sequoie della Riserva Parco della Burcina (Pollone, Biella)
Bosco del Metaleto, Casentino (Camaldoli, Arezzo)
Larici della Selva di Chambons (Fenestrelle, Torino)
Faggete della Foresta Umbra (Gargano, Foggia)
Uliveti monumentali (Pettineo, Messina)
Carrubeti monumentali (Rosolini, Siracusa)
Olivastri Millenari (Luras, Sassari)
Castagneto monumentale di Pigara (Marradi, Firenze)
Sequoie di Frazione Leccio (Reggello, Firenze)
Pini della Foreste di Lerosa (Cortina d’Ampezzo, Belluno)
Faggete del Monte Falterona (Castagno d’Andrea, Arezzo)
Scalinata dei larici monumentali (Rabbi, Trento)
Faggi monumentali del Benevento (Mallare, Savona)
Ficus dei giardini di Sanremo (Sanremo, Imperia)
Giardini botanici Hanbury (Ventimiglia, Imperia)
Giardini e Parco della Reggia Reale (Monza, Monza e Brianza)
Ficus monumentali dell’Orto botanico (Palermo)
Bosco di Sant’Antonio, Majella (Pescocostanzo, L’Aquila)
Grove dei cirmoli giganti (Passo Manghen, Telve, Trento)
Giardino degli Dei e altri pini loricati (Parco Nazionale del Pollino)
Faggi magistrali del Monte Menna (Oltre il Colle, Bergamo)
Campo dei Miracoli, platani bicentenari (Campiglione Fenile, Torino)
Boschi della Valchiusella e lago di Meugliano (Meugliano e Issiglio, Torino)
Abetina monumentale e lago di Carezza (Nova Levante, Bolzano)
Tiziano Fratus (Bergamo, 1975) abita in una casa ai margini del bosco e coltiva una pratica quotidiana di meditazione buddista. Nel corso degli ultimi due decenni ha pellegrinato in foreste maestose, ha coniato i concetti di Homo Radix e Dendrosofia, ha scritto reportage e articoli per quotidiani, condotto programmi radiofonici e cucito opere in prosa e in versi che sono andate a delineare un vasto silvario compreso fra “la carta e la corteccia”. Fra le sue opere: Giona delle sequoie (Bompiani), L’Italia è un bosco (Laterza), I giganti silenziosi (Bompiani), Manuale del perfetto cercatore d’alberi (Feltrinelli), Il bosco è un mondo (Einaudi), Sogni di un disegnatore di fiori di ciliegio (Aboca), Poesie creaturali (LDN), Ogni albero è un poeta (Mondadori), L’Italia è un bosco (Laterza) e Il tessitore di foreste (EdE). Sito: Studiohomoradix.com.



Le fotografie proposte da Tiziano Fratus sottendono una narrazione dominata dal tema della trasformazione. Nel primo scatto non vediamo l’albero. Lo immaginiamo iscritto nel suo frammento di corpo frattale. Non vediamo nemmeno la foresta. Eppure intuiamo che la moltiplicazione dell’uno è strutturale allo slancio verticale del corpo silvano.
La ruvidezza della scaglia offre nel suo rovescio la seta del petalo. Nella seconda immagine il dolce abbandono orizzontale della rosa oppone alla forza dello stare quella del lasciare; e nel lasciare, l’accogliere ciò che si posa, come l’acqua in goccia.
Infine, nella terza parte di questa serie che pare essere una parabola, irrompe il movimento. L’equilibrio si rompe. Comincia il tempo. L’acqua liberata da ciò che in lei cova come violenza scaturisce dalla terra, irrompe su pietra, scorre.
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Articolo bellissimo, mi ritrovo molto. Ben scritto e molto intenso. Ne parleremo meglio magari, mi piacerebbe. Io questi mesi ho iniziato un percorso di mindfullness, una sorta di palestra di condivisione e meditazione. Anche questo mi ha cambiata.
A presto!
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Grazie, Martina! Il pezzo di Tiziano Fratus è davvero molto bello, e avremo modo di approfondirlo nelle prossime due settimane.
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Allora attendo, bellissimo
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