Faccia a Faccia con il Muro

di Andy Bodinger

Tradotto da Rachele Salvini

[ITA] [ENG]

© Alpraz

Sono asessuale, ma non ho motivi per tirar fuori la questione. Chiaro, è importante incoraggiare un certo livello di consapevolezza riguardo questa sessualità poco conosciuta. E sono contento di vedere articoli spuntare su molte piattaforme e notiziari, vedere la bandiera nera, grigia, bianca e viola innalzata di fianco ai suoi compatrioti più noti (nonostante la discutibile assenza della ‘A’ nell’acronimo LGBTQ). Sono anche felice di vedere il termine apparire nei media mainstream, come nel cartone animato Netflix Bojack Horseman. Ma nella maggior parte dei contesti interpersonali, e per la maggior parte degli asessuali, la nostra sessualità non è rilevante; di solito è considerata importante solo per una conversazione con un eventuale partner. 

Le persone asessuali non sono sessualmente attratte da altri, hanno un certo livello di elusione o disinteresse per gli atti sessuali e molti hanno una disposizione limitata verso le relazioni sentimentali. L’asessualità ha una definizione che si basa sui non, sentimenti che non sono presenti – negazioni, assenze, mancanze di cui non sembra necessario spiegare il motivo, almeno per me, perché parlarne alla gente non è liberatorio o coraggioso o sovversivo. Purché la consapevolezza dell’esistenza della asessualità continui a diffondersi, sono felice di tenere la mia sessualità relegata a una menzione rara e poco rumorosa. 

Eppure, devo ammettere che c’è un indefinibile sollievo e una certa soddisfazione nel dichiarare questa assenza asessuale. È uno dei molti lati positivi inaspettati che superano quelli negativi. La prima volta in cui l’ho detto a qualcuno è stato quasi dieci anni fa. Avevo diciassette anni e, due giorni dopo che una casuale ricerca su Google aveva sputato fuori l’eponimo sito web asexuality.org, mi ero trovato seduto alla mia scrivania, con la forte luce del computer che disturbava la rustica oscurità della mia stanza. Stavo giocando ai videogiochi con un paio di amici online. Eravamo su Skype, come succedeva spesso d’estate, chiacchierando e giocando finché cedevamo alla stanchezza all’una o alle due di notte. Il gioco scelto quella sera era StarCraft II. Le Ali della Libertà, al tempo uscito da appena un anno. 

“Sono asessuale”, avevo detto all’inizio della partita, tre contro tre, mentre i nostri giocatori, sei a testa, cominciavano a cercare risorse minerarie. 

La mia rivelazione era avvenuta più o meno una mezz’ora dopo che ci eravamo collegati, un tempo sufficiente per giocare alcune partite e accumulare abbastanza energia vitale per dire ciò che stavo per dire. Ma perché essere in ansia? Non avevo paura di un rifiuto – mi fidavo dei miei amici. Forse avevo aspettato così tanto perché non capivo il motivo per cui sentissi il bisogno di dirglielo. I miei amici si erano messi a ridere, pensando che stessi facendo una battuta senza senso. 

“Sono serio”, avevo detto, attento a parlare abbastanza forte per essere percepito dal microfono del computer, ma abbastanza piano per non permettere alle mie parole di penetrare attraverso i vecchi corridoi di casa e rimbombare nelle orecchie dei miei genitori come una trave lamentosa, posta nel luogo sbagliato. Non volevo che sentissero i miei discorsi sconclusionati da tarda notte. I miei genitori non mi avrebbero giudicato o fatto il terzo grado, ma a diciassette anni sarebbe stato difficile spiegare l’intricata ragnatela di terminologia da millennial e le distinzioni tra attrazione sessuale, attrazione romantica e libido. L’ultima cosa che volevo era che, in un futuro prossimo, mio padre abbassasse la musica in macchina per parlare di fare pratica e per incoraggiarmi con un certo tatto a  non avere paura dell’intimità. 

“Sono asessuale. Non sto scherzando”, avevo detto ai miei amici. 

Le risorse che i nostri operai stavano portando alla luce sarebbero servite per costruire più lavoratori. Poi gli operai avrebbero costruito altre basi, dove avrebbero estratto altre risorse. Allora avremmo costruito e migliorato le unità di combattimento per sconfiggere la squadra avversaria. Avevo detto ai miei amici cosa significasse asessualità sopra il rumore delle mie dita sulla tastiera, avevo fornito definizioni tra i loro sussurri imbarazzati. Ero un ragno che si era impantanato nella sua tela. Avremmo prodotto più unità per sostituire quelle cadute e il combattimento sarebbe continuato finché l’economia e la produzione di una delle squadre avrebbe ceduto. 

Quando la partita era finita – non mi ricordo se avevamo vinto o perso – le domande sincere dei miei amici e le loro ricerche su Google avevano sciolto il mio fascio di nervi in preda all’agitazione. Eppure cosa mi era preso, di dirgli tutto, di farmi montare tutta quell’ansia e falsa incertezza, solo perché finissero prevedibilmente per crollare? 

La lettera A contiene un’eccellenza sottile. Nonostante il mio vero nome sia Michael, sono sempre stato chiamato Andy fin dalla nascita, perché io e i miei genitori preferiamo la sua cadenza veloce e facile da pronunciare, piuttosto che “Mike”. La lettera A è dolce, sottostimata, di poche pretese. In quanto prima lettera dell’alfabeto, e come prefisso a-, la lettera non sta per molto. L’intrusione della a- nella radice sessual-potrebbe contraddire alcune idee da tempo consolidate riguardo il fatto che la sessualità sia innata, ma, secondo me, non sfida nessuna delle gerarchie sociali predefinite. Non considero la confessione ai miei amici un coming out. 

Le persone gay e trans sono riconoscibili. Le persone cisgender ed eterosessuali provano a interpretare i toni acuti e bassi della loro voce, la loro pettinaturae il loro stile per determinare a che livello si conformino nella tessitura della società “normale”. E mentre gli etero provano a comprendere i vari livelli di differenza, si dipana la lunga storia delle persone appartenenti della comunità LGBTQ, determinate a trovare modi in cui connettersi con altri membri della comunità, e creare spazi propri.

Gli asessuali non sono riconoscibili. Che è una fortuna. La nostra sessualità non ha alcun tipo di associazione significativa. Nonostante possa avere un certo effetto sulle esperienze delle persone in termini di razza, sesso, identità di genere, o orientamento romantico, l’asessualità in sé non deve sostenere il livello di pregiudizio, oppressione e discriminazione sistemici, che invece ricadono su molte persone della comunità LGBTQ.    

Ci sono molti articoli e commenti su internet che criticano la mancata rappresentazione delle persone asessuali nella nostra “società ipersessualizzata”. C’è della verità in questo, considerando il ruolo della sessualità nei film, nelle serie televisive e sulle copertine delle riviste. Ciononostante, alcune delle figure più radicate nel tessuto della nostra società sono prive di associazioni sessuali – Gesù, Maria, Sir Isaac Newton, Immanuel Kant. Non abbiamo forse secoli di educazione all’astinenza? E solo perché ci sono state varie ondate di rivoluzione sessuale, non dimentichiamo la lunga storia, in Occidente almeno, della repressione della sessualità femminile, di cui si lamenta Germaine Greer nel suo libro Eunuco femmina. Nonostante le molte convinzioni errate e insensibili al riguardo, l’asessualità non è frequentemente messa sotto scrutinio. Che io voglia o meno, sembro far parte dell’eteronormatività e di un’etica conservatrice, priva di sesso. 

L’affisso a- è impavido e forma parole come apolitico (senza schieramenti politici), amorfo (senza forma), atipico (non ordinario) e, ovviamente, asessuale, un orientamento sessuale, o la mancanza di esso; una distinzione senza una differenza. Sono felice di avere accesso a questo termine. Mi è stato utile per capire la mia identità e mi ha reso la vita migliore. Posso parlarne senza preoccuparmi della mia sicurezza personale; il peggio che possa aspettarmi è un fraintendimento o una frustrazione nei confronti delle etichette identitarie del momento. Sono fortunato, perché gli ambienti che ho frequentato non mi hanno mai reso la vita meno soddisfacente a causa della mia mancanza di sessualità e sono felice di non aver mai neanche pensato di vederla come uno spazio vuoto dove aspettare che arrivi qualcosa. 

Chi mi conosce potrebbe aver trovato sconcertante il fatto che non parli mai di persone che trovo attraenti, o che non racconti mai aneddoti su qualche ex. La gente è sempre impressionata da quanto sia bravo a “Hai Mai”, con le mie dieci dita che rimangono tutte alzate mentre gli altri partecipanti snocciolano svariate esperienze sessuali, finché qualcuno non sfodera la versione borghese di “Hai Mai”, a tema viaggi. Chi non mi conosce ha spesso scambiato le mie amicizie femminili come rapporti romantici e sono stato individuato spesso dai radar gay. Magari l’ambiguità della mia sessualità, e la mia mancanza di una vita sentimentale, provoca domande inconsce. Faccio queste ipotesi perché mi è successo molte volte. Al ristorante, a casa di un amico, correndo sul campo di atletica, qualcuno esita un attimo prima che la sua voce si trasformi in un sussurro molto cauto: “Sei etero?”; “Ti stai vedendo con qualcuno?”; “Come ti identifichi?”. 

Queste domande sembrano la breve ma curiosa occhiata di qualcuno che sbirci da dietro una tenda. Esito anch’io, domandandomi se debba usare quella parola, o dire qualcosa del tipo: “Al momento non sto cercando niente”. E poi, con un sussurro altrettanto cauto, dico: “Sono asessuale”, rivelando che non c’è proprio niente da vedere dietro quella tenda, e di nuovo sento una leggera fitta di soddisfazione. 

Magari viene proprio da questo il bisogno di parlare della mia asessualità? Che sia provocato da questo gioco: gli spettatori si aspettano una risposta di una serie predefinita, ma io posso sorprenderli con una battuta finale inaspettata, che mi rappresenta come nessun’altra, un beffardo rifiuto nella forma dell’affisso a-. Una  ricerca ha dimostrato che solo l’uno per cento delle persone è asessuale. Forse, in questo piccolissimo gruppo, posso trovare un’appartenenza. La mia. 

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A volte ripenso ai tempi del liceo, prima che mi imbattessi nel termine ‘asessuale’ e ne parlassi ai miei amici su Skype. Un giorno stavo camminando nell’anticamera di un edificio, una stanza rotonda, con molta eco, le porte che davano sugli uffici ai lati. Un altro studente con cui andavo a scuola da parecchi anni aveva chiamato il mio nome. Aveva capelli scuri, pieni di gel, e gli occhiali. Camminava per i corridoi con questa andatura casuale e un’espressione seria in modo ironico: un sardonico di professione. Alle medie indossava jeans da donna ogni giovedì, ma quando eravamo arrivati all’ultimo anno di superiori si era rasato la testa e aveva cominciato a mettersi solo canottiere. Oscillava tra l’essere alla mano e l’essere un completo idiota. Esasperato, mi aveva interrogato mentre mi avviavo fuori: “Ma insomma cosa ti piace, Andy? La vagina?”. 

Avevo a malapena registrato la sua presenza nella mia visione periferica. Stava bighellonando con almeno un’altra persona, ma non mi ero neanche voltato a guardarlo. Mi ero concentrato sul raggiungere la porta. 

“No”, avevo detto. La mia onestà del tempo adesso mi sorprende, considerato che anche la più piccola delle discussioni mi provocava dentro un’ansia devastante. Miracolosamente, l’avevo evitato. 

“Il pene?” aveva chiesto, come se avesse una lista di termini da escludere. 

“No”, avevo risposto di nuovo, mentre aprivo una delle porte dell’ingresso, dirigendomi verso il centro del campus assolato. A questo punto, tutto ciò che sapevo era che non sapevo granché di sesso e che non m’importava di imparare molto altro, oltre a ciò che ci avevano insegnato nel corso di Educazione alla salute. 

Non so bene perché questo incontro mi avesse lasciato così impassibile, o perché fosse stato un non-problema al punto da dimenticarmene per anni. Ma perché la mia insicurezza perennemente sull’attenti non si era mai preoccupata di problemi di non-sessualità? Da dove veniva questo bizzarro territorio in cui ero sicuro di me? 

Il più famoso personaggio asessuale nella cultura popolare è probabilmente Todd Chavez, uno dei personaggi principali di BoJack Horseman. Todd non ha un lavoro e ha passato gli ultimi cinque anni a dormire sul divano del suo amico, che è anche una celebrità, indossando i suoi soliti vestiti casual e il suo iconico berretto giallo. Presumibilmente ci sono stati parecchi personaggi asessuali nei media. Ma, con l’inizio della sua quarta stagione, BoJack Horseman (così come il breve Sirens) è uno dei pochi ad aver effettivamente usato quella parola. 

Qualche mese dopo l’uscita della serie, stavo riguardando la terza stagione con un amico che lo stava guardando per la prima volta. BoJack Horseman è una delle mie serie preferite; il suo miscuglio di comicità raffinata e profondità emotiva soffocante mi affascina ancora. Il personaggio principale, BoJack, fatica a rimanere rilevante a lungo, mentre consuma il suo passato nell’alcol e in relazioni burrascose. Todd, invece, è fin troppo spensierato, e passa da un’avventura all’altra, mai ancorato da nessuna responsabilità. 

Nella terza stagione, Todd ritrova una vecchia amica, Emily. Emily ha le lentiggini e i capelli rossi, è sicura di sé e aperta. In una serie come questa, Emily è tutto sommato un personaggio abbastanza normale ed evita sia l’estrema autocritica, l’ossessione e il narcisismo di Bojack, che lo stile di vita imprevedibile di Todd, per quanto condivida con lui una particolare ingenuità per le idee strambe in termini di affari.

Nel finale della stagione, Todd e Emily vendono uno dei loro business di successo e stanno festeggiando mangiando gelato in un ristorante, discutendo di ciò che faranno con il ricavato, quando la conversazione cambia. 

“Todd, posso chiederti una cosa… Qual è il tuo problema? Sei gay?” chiede Emily, in un tentativo di interpretare i segnali contrastanti ricevuti da Todd nel corso di tutta la stagione. 

“Non sono gay”, dice Todd, unendo le braccia intorno alla sua vaschetta di gelato, in una posizione di difesa. “Voglio dire, non penso di esserlo… Non lo so cosa sono. Penso che potrei non essere niente”. 

Todd non è niente. In una serie piena di scenette colorate e comicità assurda, questo momento sembra tenero e meritevole. Todd evita ogni descrizione e immagina un luogo che esista al di fuori delle convenzioni di identità accettabili o riconoscibili. La serie concede un po’ di sollievo, pur lasciando Todd su un asse d’incertezza. 

Ma per arrivare a questo punto è stata necessaria una pura e semplice incertezza. La prima volta in cui ho guardato la terza stagione avevo già capito che Todd era asessuale, ma non ne ero stato sicuro fino alla fine. E mentre riguardavo la stagione con il mio amico, abbiamo visto l’episodio in cui Todd ed Emily si incontrano di nuovo per la prima volta. Si dirigono verso la camera d’hotel di Todd, nonostante lui provi a distrarre Emily dal momento che sta per venire. 

“Voglio andare in camera e divertirmi un po’, tu?” chiede Emily. Todd si inventa una serie di scuse. Che lei è ubriaca, che lui è ubriaco, che non si sente bene, finché non le strappa la chiave di mano e entra da solo, chiudendosi la porta alle spalle e lasciando Emily fuori, confusa. Quando l’episodio finisce, c’è un breve montaggio di momenti che concludono tutte le sottotrame dei vari personaggi e vediamo Todd sdraiato sul letto a disegnare cerchi col dito sulla coperta. Questo momento, a posteriori, fa ancora tristezza: il disagio dell’esitazione, la delusione reciproca. 

“Sono proprio io in queste situazioni”, aveva detto il mio amico alla fine dell’episodio. “Mi immedesimo completamente”. 

Il mio cervello era esploso di proteste. 

“No, non sei tu”, avevo pensato. Non volevo rovinargli la stagione e l’intricata serie di rivelazioni del finale e non volevo certo negare il disagio delle esperienze del mio amico. Ma, internamente, non ero riuscito a sopprimere una reazione. 

“Sono io! È la mia esperienza, non la tua!”. L’etichetta della mia identità, a prescindere da quanto triviale, era mia, e il vuoto di un personaggio inventato sul letto di un hotel avrebbe dovuto appartenere a me e basta. 

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Durante il primo anno di università, ero diventato molto amico del mio compagno di stanza. Era rasato come un militare, aveva un carattere estroverso e un grande sorrisone da smascellamento. Io, al tempo, giocavo ancora regolarmente ai videogiochi con lo stesso gruppo di amici. Lui preferiva accendere la TV, sintonizzarsi su Comedy Central e spaparanzarsi sulla sua sedia da ufficio con le rotelline. Usciva a bere con gli studenti che vivevano nel nostro corridoio. Io non avrei cominciato a bere per un altro anno. Ma dietro le mura imponenti e sterili del dormitorio e tra i traballanti letti a castello eravamo riusciti a instaurare una rispettabile amicizia, che era continuata fino a dopo il primo anno. 

“Asessuale?” aveva detto, interrogandosi sul significato del termine usato in un articolo che avevo recuperato sul mio computer. Non sapevo come fosse venuto fuori, ma stavamo leggendo un pezzo diventato virale sui social media a proposito di uno chef che si era amputato il pene per cucinarlo e servirlo come piatto di lusso. L’autore diceva che l’uomo era asessuale. Senza riferirmi a me stesso, gli avevo spiegato la definizione del termine, che gli era sconosciuta. La sua espressione si era tramutata in incredulità. 

“Asessuale? Cosa fai tutto il giorno? Stai faccia a faccia col muro?” 

Non sapevo cosa rispondere. La domanda mi aveva preso alla sprovvista. Che cosa voleva dire, cosa faceva un asessuale tutto il giorno? A pensarci, è possibile che il mio vecchio compagno di classe del liceo avesse pensato qualcosa di simile, dopo che ero uscito dall’ingresso: “Se ciò che ha detto Andy è vero, che cosa fa tutto il giorno? A cosa diavolo pensa Andy?”.

“Cosa fanno tutti, tutto il giorno?”, avevo pensato mentre chiudevo l’articolo, più sorpreso che offeso. Avevo provato a immaginare come i miei pensieri sembrassero alle altre persone. Erano forse spaziosi e nitidi, privi di immagini di nudi e lasciati liberi di occuparsi di altri interessi? O sembravano forse vacui e uniformi come la stanza vuota del dormitorio di un’università, con una serie di poster tutti diversi e orologi da muro, e un paio di squallidi letti singoli? 

Il mio compagno era tornato nella sua parte della stanza, forse per fare i compiti di ingegneria, o per messaggiare con un suo amico del militare. Non so cosa mi fossi messo a fare io. Ero probabilmente tornato a giocherellare con la fantasia pixellata del mio computer. 

L’attuale definizione di asessualità è piuttosto recente: “una persona che non prova attrazione sessuale”. In sole sette parole, è sia efficace nel trasmettere ciò che vuole dire, sia piena di possibili fraintendimenti – come la volta in cui il mio amico, uno tra i primi a cui avevo detto della mia asessualità, si era messo in testa che la mia mancanza di desiderio sessuale fosse l’esito di una disfunzione erettile precoce, una variazione del ritornello assai frustrante di chi confonde l’asessualità con una mancanza di ormoni. O come quando gli scienziati si lamentano dell’uso non corretto di un termine strettamente biologico, come se il loro vocabolario tecnico fosse un gioiello prezioso, immune alle piccole imperfezioni dei neologismi. O come quando il termine viene usato per descrivere in modo colloquiale qualsiasi cosa che non appartenga ai parametri maschili e femminili, gay e etero. Qualche volta l’asessualità sembra davvero un miasma di confusione e necessita di un respiro profondo prima di un’analisi esaustiva. 

Qualche mese dopo il mio ventunesimo compleanno, sono andato a studiare Cinese mandarino all’estero per un semestre. Il dormitorio internazionale presso la Beijing Language and Culture University è un enorme casermone di più di dieci piani, con due grosse torri su ogni lato. Il dormitorio ospita studenti da ogni parte del mondo. Più o meno una settimana dopo che una ragazza coreana nel mio corso mi aveva rivelato – con mia sorpresa – di provare qualcosa per me, ci eravamo diretti in camera mia. Era un martedì pomeriggio e il mio compagno di stanza era agli allenamenti di calcio. 

Capire di essere asessuale mi era successo in un momento opportuno. Essere asessuale richiede una serie diversa di negoziazioni, un contrappeso rispetto alla norma prevalente. Eppure, essere consapevole di questo contrappeso perde di utilità quando non hai idea di come funzioni una normale relazione. La definizione, per esempio, non descrive nel dettaglio la relazione tra interessi sessuali e romantici. Guardarsi l’un l’altro di fronte all’orizzonte non è né esclusivamente un impulso sessuale, né solo un sentimento romantico, ma i due non sono neanche la stessa cosa, percorsi invariabili verso una destinazione comune. Sono una configurazione libera e la mia teoria è che la maggior parte degli asessuali, anche coloro che hanno un interesse più sviluppato per l’intimità fisica, si trovano un passo indietro rispetto alle tipiche aspettative delle dinamiche affettive. 

Lei era attraente. Lunghi capelli scuri, un armadio pieno di vestiti colorati, ma professionali. Non ero abituato a ricevere attenzioni, qualcuno che volesse sedersi vicino a me, prendermi la mano. Il suo desiderio di contatto fisico era un po’ troppo per me, ma volevo che fosse felice. 

Ci eravamo finalmente baciati proprio in mezzo alla stanza, tra le scrivanie di legno installate nel muro, la coppia di lettini separati da un divisorio, le tende tirate. Era il mio primo bacio, e baciarla – come tutti i baci che ho dato dopo – è stato esattamente come avevo previsto. Lungo e trascinato, una goffa configurazione di denti come a Tetris, un uso inappropriato di lingue scivolose. 

L’asessualità è esistita da molto prima che il prefisso a- fosse stato usato per rappresentarla. Ogni conversazione sulla non-sessualità era stata praticamente inesistente prima del ventunesimo secolo, ma non del tutto. Karl-Maria Kertbeny, che aveva coniato i termini omosessuale ed eterosessuale nel 1869, aveva definito i “monosessuali”, ovvero la gente che si masturba e basta. 

Le prime osservazioni di Kertbeny sull’isolamento comportamentale permanente non mi riguardano. Seduto sul letto, baciando quella che era più o meno la mia ragazza, avevo provato a renderla felice senza davvero sapere che cosa avessi dovuto provare o cosa stessi provando a imitare. Non volevo essere solo. Non volevo essere con qualcuno. Non sapevo se esistesse qualcosa che stava nel mezzo. 

C’era anche Magnus Hirschfeld, che, in un pamphlet intitolato Saffo e Socrate, uno tra i suoi primi studi sessuologici su persone gay e trans, aveva concluso che “ci sono individui senza desiderio sessuale”. Le ricerche iniziali di Hirschfeld e Kertbeny contengono i bagliori di una definizione contemporanea della asessualità, per quanto confondano il desiderio con l’orientamento sessuale. Queste definizioni rappresentano qualcuno che si ritrova effettivamente solo – un’isola. 

Qualche anno dopo ero stato invitato a uscire da una collega. Avevo ventiquattro anni e per anni non avevo fatto esperienza di niente che somigliasse neanche lontanamente a un appuntamento, e mi ero appena trasferito in Oklahoma. Avevo detto di sì. A causa degli orari di lavoro diversi, non saremmo riusciti a vederci per una settimana e mezzo e nel frattempo avevo cominciato a provare un certo senso di disagio. Sapevo che mi piacevano le donne. Sapevo che non mi piacevano gli uomini. Ma nei tre anni dopo il mio primo bacio, non avevo imparato molto altro di me stesso e non ero riuscito a identificare le mie coordinate romantiche precise. 

Alfred Kinsey, nei suoi due report intitolati Comportamento Sessuale nel Maschio Umano e Comportamento Sessuale nella Femmina Umana, utilizza la scala Kinsey per studiare i suoi partecipanti e descrivere il loro orientamento sessuale in un certo momento delle loro vite. La scala va da uno a sei. Zero significa esclusivamente eterosessuale, sei significa esclusivamente omosessuale e tutto ciò che si trova nel mezzo definisce le gradazioni tra i due poli. In questi Kinsey Reports, i ricercatori hanno anche incluso un’ottava valutazione: X, che significa “senza contatti o reazioni socio-sessuali”. X è sottile. Non ha una voce e si avvolge nell’imitazione dei suoni appartenenti ad altre lettere. 

Qual è il momento giusto per parlare di X? Quando ti chiedono di uscire? A un certo punto durante quella settimana e mezzo prima dell’appuntamento? Smetti di fare battute, abbassi la forchetta e la posi di fianco al tuo piatto di curry rosso thailandese e confessi tutto in un sussurro? Era forse uno scenario probabile? Dopo tutto, era solo un primo appuntamento.

E perché non parlarne al ritorno verso casa, sulla strada verso il suo appartamento, perché non sai che altro dire, perché non avevi flirtato o non eri stato apertamente romantico; perché hai fatto battute come se questa fosse una cena come un’altra? 

E anche se riveli di essere X, come spieghi che ti piace, ma che non sei sicuro delle implicazioni romantiche di X, che non sai come ti senti e non sai come ti senti riguardo al fatto di non sapere come ti senti? 

Non sono mai uscito con qualcuno di insistente, o maleducato, o privo di compassione. La maggior parte della gente si è prima o poi trovata ad avere esperienze assurde agli appuntamenti; non sono certo speciale in questo. Ma in situazioni del genere, nel mio modo personale di sentirmi a disagio e in imbarazzo durante un appuntamento, come potevo spiegare X in un modo che non causasse ulteriore confusione? Come una serie di comportamenti non esaminati, ovvero come avevano fatto Kertbeny, Hirschfeld e Kinsey? E dov’è che fallisce la definizione moderna, lasciando una vasta varietà di implicazioni indefinite? 

Ela Przybylo, nel suo libro Erotica asessuale, uno dei pochi testi accademici sull’argomento di cui sia a conoscenza, scrive che “il cosiddetto puritanesimo può essere usato per indicare un soggetto come arretrato, represso, non eroticizzato a sufficienza e mancante di qualcosa”. Forse provo una certa gioia incosciente a rispondere alle domande sulla mia asessualità, perché la verità non si trova tra nessuno di questi preconcetti. Rispondendo sinceramente violo le aspettative, sfidando ogni probabilità evidentemente assurda. Come asessuale, vorrei essere al sicuro in modo permanente dalla preoccupazione delle malattie sessualmente trasmissibili, dei problemi delle relazioni, del magnetismo codipendente delle coppie. Avendo questa mancanza, ma non mancando di niente, vedo questa sottile divergenza di cui posso parlare dall’alto della mia esperienza. 

Se qualcuno mi chiedesse: “Cosa fai tutto il giorno?”, non dovrei aver bisogno di rispondere. Ma invece che essere un circuito chiuso, l’asessualità è invariabilmente collegata a qualcos’altro: un’assenza che ha bisogno di essere riempita. Todd di BoJack Horseman mi piace, non solo perché è asessuale. Il suo personaggio è una meditazione autoconsapevole sulle bizzarre disavventure e sulle bravate di personaggi di cartoni, per quanto ne sia allo stesso tempo un’iperbolica rappresentazione, e in questo contrasto esistono relazioni tra personaggi che sono interessanti e complicate. Todd vive in un’intersezione tra incongruenza e saggezza. 

In ogni caso, vorrei che non fosse l’unico personaggio asessuale nella cultura popolare mainstream. Non credo che i creatori della serie abbiano fatto un errore a costruire Todd in questo modo, ma quando hai un personaggio che comincia un business che vende costumi di Halloween solo a gennaio, che si perde per giorni in un hotel di New York e dà per sbaglio una mancia di otto milioni di dollari a una cameriera, la sua sessualità viene associata alla sua stravaganza, in un ecosistema mediatico di personaggi-bizzarri-presunti-asessuali. 

Prendete Holmes in Sherlock Holmes della BBC, o Sheldon Cooper in Big Bang Theory. Uomini bianchi allampanati, di grande successo nei loro campi, la cui distanza emotiva si schiude lentamente mentre si ripiegano nei loro gruppi sociali. Questi personaggi non sono asessuali, come confermato sia dalle stesse serie, sia dai loro creatori. Sono intelligenti a discapito delle loro abilità sociali, così presi da se stessi e dal loro lavoro da non aver bisogno di sesso. Sono non convenzionali. Sono dei tipi strani. 

Cosa fa una persona asessuale tutto il giorno se non è posseduta dal sesso? In un’intervista, Steven Moffat, il creatore di Sherlock Holmes, ha detto che “se Holmes fosse asessuale, non ci sarebbe tensione, né divertimento”. Nella sua mente, il personaggio prova a resistere a un senso di possessione, un conflitto con una sessualità che è lì ma non è ricercata, piuttosto che con qualcosa che non è lì, e non è neanche ricercato. Il fatto che questi due personaggi possano essere considerati asessuali, che questa sia una domanda a cui dobbiamo dare una risposta, sembra suggerire qualcosa. La mancanza di coinvolgimento sessuale di Cooper, Holmes e Chavez sembra collegare i loro comportamenti alle strambe abitudini di chi è vergine. Cosa fa una persona asessuale tutto il giorno? Tutto ciò che serve per riempire una carenza, lasciando gli uffici di produttori e scrittori nel panico per trovare qualcosa che possa sostituire quella mancanza indesiderata. 

Non sono più bravo ad affrontare il disagio che chiunque altro. Mai, quando ho rivelato a un amico o a un partner o a una persona a un appuntamento che  “sì, ma sono asessuale”, le mie parole hanno messo in chiaro la situazione, sorpreso un partner deluso, o riempito una mancanza da loro percepita. 

Quindi, in fondo aspetto sempre queste domande: “Sei etero? Sei gay? Non sarebbe molto più facile non essere niente?”, quando poi posso impressionare qualcuno con una risposta inaspettata. “Sì, ma sono asessuale”, posso dire, con distacco, freddezza, come se questo piccolo grovigliolo di niente non mi passasse mai per la testa. 

Ovviamente mi passa per la testa, molto più di quanto vorrei ammettere. 

E penso che la mia resistenza alla nozione di tale mancanza sia ciò che mi rende me stesso; che in una variante sovversiva e contagiosa della mia sicurezza, vedo la differenza non riconoscibile dell’asessualità come qualcosa di meglio: la sorpresa, la felicità, il forte contrasto tra le varie sillabe, che elevano qualcosa di indefinibile. 

Vorrei aggiungere che va benissimo che l’asessualità sia lasciata fuori dalle conversazioni, consentendoci di crogiolare in una spiegazione aperta e subito richiusa. Va benissimo che il rimbombo di una mancanza asessuale contenga il niente: non un emblema, non un vuoto. Non mi passa mai per la testa! Non è un’identità oppressiva, né mi rende un santo. È sia un orientamento che un non-orientamento, sia speciale che non speciale. Interessante, noiosa. L’asessualità, semplicemente, è. Non ne sono orgoglioso, né me ne vergogno. 

“Sì, ma sono asessuale”. 

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Ora ripenso al viaggio in macchina con mio papà quando avevo più o meno diciotto anni. Era tardi. Le estremità del suo pick-up sembravano elastiche. Ai tempi, mi portava a fare scherma e a fare le gare e una volta avevamo fatto un viaggio di una roba come quattordici ore, diretti verso il centro degli Stati Uniti per andare a visitare alcune università. Avevamo riempito i buchi di conversazioni stanche con musica anni ottanta e con i Green Day. 

Mio padre ha sempre avuto una grossa pancia e braccia forti. Parla facilmente, ma la sua disposizione si affievolisce quando prova a parlare di ragazze e relazioni. “Il discorso” era un miscuglio di pensieri a metà. Di solito evitavo subito questo tipo di conversazione. Avevo diciotto anni, dopotutto, ed ero piuttosto sicuro di sapere tutto della vita. 

Avevo già calcolato ogni cosa. A quarant’anni mi sarei trovato solo. Non in modo brutto, o bello, ma solo. A quel punto, i miei amici sarebbero stati sposati da tempo, con bambini, e sparsi in tutto il mondo. Non avrebbero avuto tempo per me, ma io avrei avuto tempo e spazio illimitati. Avevo anche pensato che quando sarei andato al college, i miei genitori avrebbero divorziato, il loro matrimonio prosciugato come un viso che diviene freddo. 

C’è ancora molto tempo prima che compia quarant’anni, ma anche da dove sono adesso so che questi pensieri erano sbagliati, che avevo semplificato le variabili della vita in favore del caso peggiore. I miei genitori non hanno divorziato quando sono andato all’università, o quando mi sono laureato, o quando ho insegnato all’estero, o quando mi sono trasferito in Oklahoma. 

Non ricordo che disaccordo stavamo avendo io e papà durante uno dei nostri viaggi in auto, ma dalla conversazione era uscita  questa domanda: “Quindi, non farai mai sesso?”.

“Penso di no”, avevo risposto. Lui aveva sbuffato. Per lui, apparentemente, come per molti altri, una vita senza sesso era impossibile. Senza sesso, non puoi trovare compagnia, e viceversa. 

Non penso che mio padre stesse cercando di trattarmi con sufficienza . La geometria della nostra società si basa sulla coppia, con la sessualità come logica organizzativa che porta ordine in un mondo imprevedibile. Immagino che la mia asessualità possa fare lo stesso per me. 

Di recente, la serie BoJack Horseman è giunta al termine e quegli amici e compagni di classe e ragazze e compagni di stanza sono adesso persone diverse. La gente perde interesse per il mio piccolo ammasso di niente, in favore dei brillanti ornamenti delle loro vite. È un processo necessario. Allo stesso tempo, permettermi di avere un pochino di orgoglio in qualcosa di così piccolo mi fa bene, come decorare un muro vuoto, ripulire le fessure tra i mobili e scalciare via la polvere che si ammassa in nuvole vorticose. 

Però, allo stesso tempo, in quella macchina buia, mi ero voltato e mi ero messo le cuffie per ascoltare la mia musica da solo. Avevo ignorato mio padre e non m’importava niente di ciò che pensava. Avevo appoggiato la testa contro il finestrino e avevo guardato il mondo fuori come carta da parati in movimento, apprezzando il moto dei lampioni, fissando le luci soffuse che passavano oltre. 

[Il testo in lingua originale si può leggere qui: https://lunchticket.org/staring-at-a-wall/]

Andy Bodinger è un autore di narrativa e studente di dottorato presso la Ohio University. Ha ricevuto un master dalla Oklahoma State University, dove è stato editor associato della rivista Cimarron Review. È stato anche docente di inglese per stranieri, e ha insegnato in Cina e in Repubblica Ceca. I suoi scritti sono stati pubblicati su Lunch Ticket, BULL, Bodega Magazine, Flash Fiction Magazine, e altri.

Rachele Salvini è docente di scrittura creativa presso il Gettysburg College, in Pennsylvania. Ha un dottorato in inglese e scrittura creativa presso la Oklahoma State University, dove si è specializzata in fiction e creative nonfiction. Traduce e scrive sia in inglese che in italiano. La sua prima raccolta di traduzioni, Pollo Fritto e Disperazione, è uscita nel 2022 per Digressioni Editore, e i suoi racconti sono stati pubblicati su numerose riviste italiane e statunitensi.

Andy Bodinger is an author of fiction and a PhD candidate at Ohio University. He has a MA from Oklahoma State University, where he was associate editor for the Cimarron Review. He taught English to foreigners and he taught in China and Czech Republic as well. Some of his writings were published on Lunch Ticket, BULL, Bodega Magazine, Flash Fiction Magazine and others.

Rachele Salvini teaches creative writing at Gettysburg College, in Pennsylvania. She has a PhD in English and Creative Writing from Oklahoma State University, where she specifically studied fiction and creative nonfiction. She translates and writes both in English and Italian. Her first collection of translations, Pollo Fritto e Disperazione, was published by Digressioni Editore in 2022 and her novels can be read in various Italian and American journals.

La deformazione, la metamorfosi e l’innesto sono l’alfabeto di Alpraz. Nelle sue illustrazioni il soggetto satura il foglio e impone uno sguardo ravvicinato anche e soprattutto quando i suoi occhi sono bianchi o oscurati. L’utilizzo di colori piatti e accesi, il segno calcato, il lettering “urlato” sono tutti strumenti attraverso i quali l’artista impone una pausa di attenzione diretta e partecipata al suo pubblico.

Non è un caso se i volti che vediamo apparire nei suoi disegni sono quelli di personaggi famosi; Alpraz ha fatto sua la lezione della pop art, di Warhol, di Basquiat e della street art e usa l’icona per veicolare messaggi femministi, di autoaffermazione e di riconoscimento e valorizzazione delle diversità.

Un modo per imporsi alla vista, un dire “io sono qui” e non retrocedere di un passo sul cammino del riconoscimento di sé.

Livia Del Gaudio

Alpraz’s alphabet is made of deformations, metamorphosis and grafts. In her illustrations the subject fills the space and (s)he demands to be looked at from a short distance, especially when his/her eyes are white or blackened. The use of flat and bright colors, the strong mark, the “shouting” lettering are the means through which the artist asks her observers to pause and pay attention. 

It is not by accident if the faces of her drawings are that of famous people; Alpraz got hold of the techniques of pop art, Warhol, Basquiat and street art. She uses the icon to sustain feminism, autoaffirmation and the enhancement of diversities. 

A way to impose oneself to the other’s sight, saying “I am here” and not taking a step back on the path which leads to the fulfillment of the self.

Translated by Aurora Dell’Oro

Alpraz è fumettista e illustratrice. Ma non nel senso che il disegno è il suo mestiere: il fatto è che non ne può proprio fare a meno. A volte fa anche disegni animati.

Alpraz is a cartoonist and an illustrator. But drawing is not her job: the thing is, she isn’t able to do without it. Sometimes she also draws animated cartoons.

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